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Giorgia Meloni con Donald Trump nello Studio Ovale - ANSA
Bene, brava, bis. Vista da Roma, non si può negare che la due giorni italo-americana di Giorgia Meloni appaia riuscita. Il bis con Vance a Palazzo Chigi, tra l’altro, è arrivato subito dopo la conclusione dell’incontro con Trump (e lo stesso Vance) alla Casa Bianca, dando l’impressione di un atto unico.
E bene ha fatto la presidente del Consiglio a non frapporre tempo tra la sua visita-lampo negli Usa e la telefonata di “rapporto” alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, lanciando così un messaggio ben chiaro: l’Italia si muove come parte integrante dell’Europa unita.
Eccessivo, senza dubbio, parlare di successo senza precedenti come è stato fatto da destra. Ingeneroso, d’altra parte, accusare il Governo italiano di sudditanza nei confronti degli americani. Questo perché di esecutivi che hanno ben curato i rapporti con l’alleato a stelle e strisce ne abbiamo avuti molti (anche negli anni difficili della Guerra fredda, con il più grande partito comunista occidentale in casa) ma, proprio per il fatto di dovergli pace (armata) e libertà, la soggezione e la deferenza non sono mai mancate, fatta eccezione per Bettino Craxi nel celebre episodio di Sigonella.
Guardiamo ai fatti, dunque. Per ora, oltre a un buon ritorno di immagine per Meloni, nero su bianco restano soltanto l’incremento del gas naturale che importeremo da oltreoceano e una dichiarazione congiunta che spunta una delle poche armi a disposizione dell’Ue nella battaglia dei dazi: l’imposizione fiscale sui giganti del digitale.
Ma resta, e alto, anche il pericolo che il rapporto con Donald Trump si riveli una trappola, perché quando finge di dimenticare certe sue “sparate” (lo ha fatto anche giovedì rispetto agli «europei parassiti») o lavora per licenziare chiunque lo intralci (l’ultimo nel mirino è il presidente della Fed Jerome Powell), il presidente Usa dimostra di avere con gli affari di Stato lo stesso approccio che aveva nel programma tv “The Apprentice”. Alla prima mossa che lui giudica sbagliata sei fuori: you’re fired!
Meloni, quindi, cammina su un filo: qualora rischiasse il “licenziamento” da Trump, dovrebbe scegliere se seguire le orme di Orbán e isolarsi dal resto dell’Ue (ma l’Italia non è l’Ungheria, nella storia dell’Unione) oppure rompere con l’amico Donald, sancendo il fallimento della sua missione. Missione che lei ha sintetizzato in «fare di nuovo grande l’Occidente». Trumpianamente.
Forse troppo, perché la grandezza dell’Occidente, per come l’abbiamo conosciuto finora, risiede nelle sue istituzioni liberaldemocratiche, cioè nel sistema di controlli e contrappesi che ciascun potere esercita sugli altri, garantendo appunto libertà e democrazia. E non sembra questa la priorità di un presidente che appena tre mesi fa ha concesso la grazia a 1.500 suoi sostenitori che nel 2021, dopo la vittoria di Biden alle presidenziali, diedero l’assalto alla sede del Congresso.