giovedì 13 febbraio 2020
Prima le parole del figlio Giovanni ai funerali, poi l’opera incessante di padre Adolfo, il fratello gesuita, che incontrò anche l’assassina Anna Laura Braghetti: «Sono cambiata grazie a lui»
La riconciliazione che vinse il terrorismo

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«Preghiamo per i nostri governanti: per il nostro presidente Sandro Pertini, per Francesco Cossiga. Preghiamo per tutti i giudici, per tutti i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, per quanti oggi nelle diverse responsabilità, nella società, nel Parlamento, nelle strade continuano in prima fila la battaglia per la democrazia con coraggio e amore...». Parole che tagliarono in due la lotta al terrorismo, al funerale di Vittorio Bachelet. «Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri», disse il figlio Giovanni.

Dietro di lui colpisce, nei filmati d’epoca, il volto incredulo di Pertini, che si era precipitato alla 'Sapienza', due giorni prima, alla notizia del suo vice al Csm assassinato e, sollevato il lenzuolo, l’aveva salutato con un bacio struggente. Ma non fu solo un gesto di grande bontà di uno studente figlio di una persona estremamente buona.

Fu il lucidissimo, razionale, messaggio voluto da una famiglia educata alla fede che alla domanda «che cosa avrebbe detto nostro padre – mio marito, nostro fratello – se fosse ancora qui con noi?» si trovò già con le 'istruzioni per l’uso' per farvi fronte, memore delle tante, troppe volte che aveva dovuto seguire alla tv, o commemorare in pubblico, la tragica morte di un uomo delle istituzioni. «Bisogna difendere uniti la nostra democrazia, non abbiamo altra strada», diceva sempre, mescolando i valori della Costituzione e l’insegnamento del Vangelo, uniti dal concetto di 'bene comune' che tanto gli era caro. «Sono stato solo lo speaker di famiglia», si schermisce Giovanni Bachelet, oggi docente di fisica alla Sapienza.

«Lui si stranisce quando ricordo l’importanza di quella preghiera – interviene Rosy Bindi dice che non ha fatto altro che attuare il catechismo. Ma quanto è stata importante per trasmettere quell’idea del papà che non conosceva nemici né vendetta, e anche per il cambiamento di tanti militanti della lotta armata». In tanti si chiesero che effetto avrebbero avuto quelle parole nell’animo degli brigatisti. «Ai funerali di Vittorio Bachelet la famiglia perdonò gli assassini. Pregò per me», dice Anna Laura Braghetti (una dei due killer, con Bruno Seghetti) nel libro 'Il prigioniero', realizzato con Paola Tavella, che ha ispirato il film 'Buongiorno, notte' di Marco Bellocchio e da poco ripubblicato per l’Economica Feltrinelli.

Ma Braghetti porta alla luce anche il lavoro di padre Adolfo Bachelet, il fratello gesuita, «che prese a girare per le carceri e a intrattenersi con i detenuti politici», ricorda. «Mi raccontava spesso dei figli e delle figlie dell’uomo che io ho assassinato, ma la domanda 'perché mio fratello?' non era un ingombro fra noi. Da lui ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia umanità, e di aver travolto per questo quella degli altri».

Un’amicizia 'impossibile' durata fino alle fine dei giorni del gesuita. «Io muoio, ma non ti lascio sola, perché c’è sempre mio fratello Paolo» le disse padre Adolfo, passando il testimone al fratello cappellano dell’università, che svolse a sua volta un’opera incessante di raccolta fondi per dare un futuro lavorativo ai brigatisti recuperati. Una famiglia votata alla causa della riconciliazione anche nel ricordo di Maurice Bignami, uno dei capi di Prima linea. «Ho conosciuto padre Adolfo Bachelet grazie a don Luigi Di Liegro, allora direttore della Caritas diocesana, a Rebibbia».

Erano gli anni del processo di dissociazione che portò centinaia di ex della lotta armata a consegnare simbolicamente le armi al cardinale Martini. «Diventammo subito amici – ricorda Bignami – e, quando nacque il mio secondo figlio, padre Adolfo concelebrò, assieme a don Luigi e al cappellano di Rebibbia, padre Mario, il suo battesimo ». Tre sacerdoti fondamentali nel suo cambiamento: «In particolare, le chiacchierate con padre Adolfo mi hanno spinto a un’idea di democrazia liberale, e mi liberò da altre possibili ideologiche astrazioni. Con lui ho appreso 'dal vero' cosa sia il concetto di persona, come si possano concepire i rapporti sociali – le relazioni tra i singoli, i gruppi, con le istituzioni, le cose, la natura – a partire dalla categoria biblica dell’Alleanza. Come si possa guardare l’uomo, e definire le caratteristiche fondamentali dell’umano, guardando Cristo. Senza padre Adolfo, oggi non sarei chi sono. E non lo sarebbero i miei figli, perché l’incontro che spalanca il cuore all’abbraccio del Mistero è generativo».

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