mercoledì 15 novembre 2023
L'obbligo previsto dalla legge 146 del 1990 può scattare «su segnalazione della Commissione di garanzia», ma anche per iniziativa del governo. Chi non si adegua può essere sanzionato
Le bandiere dei sindacati in uno degli ultimi scioperi

Le bandiere dei sindacati in uno degli ultimi scioperi - Ansa

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Quello che Matteo Salvini ha definito «un ultimo atto di buonsenso» per far rientrare lo sciopero (la convocazione in extremis di Cgil e Uil al Mit di ieri sera) è in realtà un obbligo previsto dalla “legge 146” del 1990 (poi modificata dalla 83 del 2000), la stessa che disciplina la precettazione. Ma in cosa consiste la lo strumento a cui il ministro ha minacciato di ricorrere per fermare la mobilitazione?

Si tratta di un provvedimento amministrativo straordinario con cui l’autorità competente (in questo caso il ministero dell’Interno) può imporre lo stop a una mobilitazione. Può essere disposto qualora «sussista il fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona tutelati», che potrebbe essere causato «dall'interruzione o dall’alterazione del funzionamento dei servizi pubblici garantiti conseguente all'esercizio dello sciopero». La decisione può scattare «su segnalazione della Commissione di garanzia», ma anche (tra le altre opzioni) per iniziativa del capo del governo o di un ministro delegato. Il primo passo è una sollecitazione con la quale «si invitano le parti a desistere dai comportamenti che determinano la situazione di pericolo» e a proporre un tentativo di conciliazione (il vertice di ieri sera).

Se però il tentativo non riesce, potranno essere adottate «le misure necessarie a prevenire il pregiudizio ai diritti della persona» di cui sopra. L’ordinanza può disporre tre tipi di interventi: il differimento dell’astensione, la riduzione della durata e l’imposizione di livelli minimi di funzionato del servizio. La decisione deve essere resa nota e il premier è tenuto a comunicarla alle Camere. Le organizzazioni che decidono di violare la precettazione rischiano però una sanzione amministrativa pecuniaria (disposta dalla stessa autorità che ha emanato l’ordinanza) che può oscillare tra 2.500 e 50mila euro per ogni giorno di mancata ottemperanza, a seconda della consistenza economica dell’organizzazione e della gravità delle conseguenze dell’infrazione.

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