venerdì 5 gennaio 2018
Parla l’abate di San Miniato, che ha celebrato i funerali della bambina-simbolo nella lotta alla leucodistrofia che s'è spenta i primi giorni di gennaio a Firenze
L'abate di San Miniato, padre Bernardo Gianni. Ha celebrato lui i funerali della piccola Sofia De Barros, che conosceva da quando era nata

L'abate di San Miniato, padre Bernardo Gianni. Ha celebrato lui i funerali della piccola Sofia De Barros, che conosceva da quando era nata

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Una canzone di Nek e palloncini bianchi e blu per l’ultimo saluto a Sofia De Barros, la bambina di otto anni scomparsa per una rara malattia neurodegenerativa e di cui giovedì 5 gennaio nella basilica di San Miniato a Firenze è stato celebrato il funerale. La piccola è morta nella notte tra il 30 e il 31 dicembre 2017. «È volata in cielo – hanno scritto i genitori Caterina Ceccuti e Guido De Barros –. Ora per lei non esiste più dolore, c’è solo l’amore».

Sofia aveva un anno e mezzo quando si scoprì che era affetta da leucodistrofia metacromatica. Da quel momento i genitori hanno cercato ogni cura possibile, compreso il metodo Stamina, poi bloccato dal Ministero. Al tempo stesso, nel 2013, hanno dato vita all’associazione «Voa Voa» (dal titolo del libro che la madre, giornalista e scrittrice, ha dedicato alla figlia) con l’obiettivo di aiutare i bambini affetti da gravi patologie e le loro famiglie. In breve l’associazione è diventata un punto di riferimento in Italia e in particolare a Firenze, dove la famiglia è molto conosciuta anche per il nonno di Sofia, il professor Cosimo Ceccuti, erede culturale di Giovanni Spadolini.

Padre Bernardo Gianni è l’abate di San Miniato al Monte, l’abbazia e la basilica – con annesso il cimitero delle Porte Sante – che da sopra al Piazzale Michelangelo dominano la città di Firenze. È stato lui, giovedì 5 gennaio mattina, a celebrare il funerale della piccola Sofia De Barros in una chiesa gremita di parenti e amici tra cui il cantante Nek, che negli ultimi anni ha seguito le vicende della bambina e sostenuto l’associazione nata in suo nome.

Padre Bernardo, che rapporti ha con i genitori di Sofia?
Ho assistito al loro matrimonio prima di diventare sacerdote. Ero presente all’altare come monaco. Li conoscevo da tempo, da quando da fidanzati si erano affacciati a San Miniato, un luogo molto caro soprattutto alla famiglia di Caterina. Li ho accolti, accompagnati e poi seguiti quando hanno scoperto la malattia della figlia. Da allora il rapporto si è rafforzato. Sono diventato destinatario delle richieste di preghiera che puntualmente mi arrivavano non solo da Caterina e Guido, ma anche dai loro genitori.

Cosa insegna sul piano umano una vicenda del genere?
Insegna la determinazione di una coppia di genitori che difendono la dignità, il valore, la consistenza della vita a prescindere dalla qualità della salute. Sembra banale dirlo, ma questo loro arroccarsi in difesa della vita mi pare l’eredità più preziosa che lasciano all’intera società civile, mentre a chi crede lasciano un patrimonio di fede e di speranza. Questa dignità in termini di cura, attenzione, qualità delle relazioni con cui vivere, comunicare, condividere si è contrapposta alla freddezza del linguaggio scientifico che spesso ha ferito il cuore di questi genitori.

Accennava alla fede. Anche l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, ha detto che «c’è fede nelle parole con cui i genitori di Sofia hanno annunciato la morte della figlia».
Hanno sempre vissuto tutto con fede e affidamento. Per questo non mi aspettavo niente di diverso dal messaggio con cui Caterina e Guido hanno annunciato la morte realmente in Cristo di questa creatura. Ha fatto benissimo il cardinale a sottolineare come ci sia davvero una testimonianza in ciò che questi genitori hanno fatto finché Sofia era in vita, ma anche dal momento della morte in poi, giorni vissuti in una dimensione di pace. Non è una cosa scontata quando un genitore perde un figlio. La tentazione umana in questi casi è di una rivendicazione nei confronti di Dio. Ma il lungo travaglio di Caterina e Guido li ha preparati a non cedere.

Il fatto che Sofia venga sepolta nel cimitero delle Porte Sante, qui a San Miniato, dove ci sono personaggi illustri legati alla storia di Firenze, ha un significato particolare?
Sì, perché è una sepoltura in un cimitero gravido di significati non solo spirituali, ma anche civili. L’amministrazione comunale ha scelto di essere vicina alla famiglia, anche perché in tante circostanze le istituzioni hanno mostrato una certa distanza. In questo gesto un po’ straordinario di concedere a Sofia una delle pochissime sepolture disponibili c’è come un voler unire tutta la città di Firenze al dolore della famiglia. Ma non solo: Sofia suo malgrado è diventata una persona simbolo che ci spinge a una maggiore attenzione verso chi soffre di malattie degenerative e verso le loro famiglie. La sua esemplarità viene sottolineata dalla eccezionalità della sepoltura qui a San Miniato.

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