mercoledì 27 marzo 2019
Al Convegno nazionale delle Caritas in corso a Scanzano Jonico parla suor Michela Marchetti, coordinatrice della cooperativa sociale Noemi: punto di riferimento per istituzioni e famiglie del Sud
Da Bassano a Crotone, dove ha aperto un centro antiviolenza per mamme e bimbi Suor Michela Marchetti racconta la sua sfida: ascolto, sostegno e un “Codice viola”- «Perché mi occupo di violenza di genere? Per la cultura che la alimenta. Molte donne si sentono in colpa a denunciare. Ma Dio ci chiede un amore autentico»

Da Bassano a Crotone, dove ha aperto un centro antiviolenza per mamme e bimbi Suor Michela Marchetti racconta la sua sfida: ascolto, sostegno e un “Codice viola”- «Perché mi occupo di violenza di genere? Per la cultura che la alimenta. Molte donne si sentono in colpa a denunciare. Ma Dio ci chiede un amore autentico»

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Portare nelle scuole e nelle parrocchie la cultura della carità per combattere la violenza sulle donne. La seconda giornata del 41° convegno delle Caritas diocesane a Scanzano Jonico offre la preziosa testimonianza di una religiosa 52enne, suor Michela Marchetti, veneta di Bassano trapiantata a Crotone dal 1991, che nel 2015 ha ricevuto dal presidente della Repubblica Mattarella il riconoscimento per meriti civili.

Suor Michela, dell’ordine della Divina volontà, è coordinatrice della cooperativa sociale 'Noemi', nata nel 2001, centro di sostegno alle famiglie inizialmente aperto a ragazze e donne tra i 13 ed i 30 anni e oggi anche a ragazzine di 11 anni con percorsi di vita difficili. 'Noemi' impiega 13 operatori e una quarantina di volontari ed è stata creata per interagire con le istituzioni. Offre servizi di centro diurno per le bambine in difficoltà. Poi è nato il centro famiglia e il centro antiviolenza 'Udite Agar', che aiuta circa 20 donne. «È un personaggio biblico – spiega suor Michela –, schiava di Abramo che nel deserto si allontana dal figlio per non vederlo morire. Dio ascolta la sua preghiera e le rivela che accanto a lei c’è l’acqua e lui vivrà. La sua parola viene ascoltata quando lei non parla. Come la violenza sulla donna che va compresa oltre le parole». Infine il progetto si è completato con il centro 'Piccoli passi' per bambini dai 6 ai 12 anni, per coinvolgere genitori e bambini supportando le famiglie. A Crotone suor Michela ha messo a punto il 'Codice viola' che coinvolge forze dell’ordine, terzo settore, centri antiviolenza, scuole e agenzie educative. Lei coordina il tavolo su indicazione del prefetto. Così mentre c’è chi, anche tra i credenti, ancora nega la violenza sulle donne, lei è invece partita da questa piaga.

Perché? Il centro antiviolenza è come la punta di un iceberg. La donna ci permette infatti di entrare nell’ambito della famiglia e di interagire con tutta la realtà. Tutte le statistiche confermano che la donna giovane al Sud è emblema di povertà, noi sosteniamo che da lei può ripartire un discorso di cambiamento a favore della famiglia e della realtà circostante.

Ma per quale ragione una suora vuole occuparsene? Come religiosa ritengo fondamentale affrontare la cultura che sta dietro alla violenza di genere. Molte donne si sentono quasi in colpa perché denunciano quello che stanno vivendo, quasi che la fede cattolica mettesse un coperchio su maltrattamenti, botte e abusi. Non è il Dio di Gesù a chiederlo, Lui ci chiede un amore autentico anche all’interno della coppia. Ogni volta che diciamo alla donna maltrattata che bisogna sopportare, stiamo condannando l’uomo ad essere violento e a perpetuare qualcosa che non va bene nemmeno per lui. Una logica di relazione che non è cattolica.

Quanto incide la povertà? La violenza economica è la più diffusa. Chi non ha un’autonomia dipende dal marito. Un conto è scegliere di non lavorare, ma se non si ha alternativa e se l’altro anello della coppia vive la disoccupazione e la precarietà, la situazione rischia di precipitare. Noi creiamo borse lavoro perché a parte i momenti più acuti in cui c’è bisogno di case rifugio, i percorsi di ricostruzione dopo la presa di coscienza dei rischi della violenza sono lunghi.

Come si combatte la cultura della violenza? Noi portiamo nelle scuole laboratori attivi in cui chiediamo ai giovani di prendere coscienza dei meccanismi violenti già nella quotidianità. Coinvolgiamo maschi e femmine. Chiediamo che uomo vuoi essere domani. E che donna? E sperimentiamo i meccanismi di possesso dell’altro. Poi teniamo incontri con i genitori nelle parrocchie per affrontare i meccanismi culturali che si trasmettono anche inconsapevolmente e che portano alla violenza . Il 90% dei messaggi sono trasmessi dalle madri.

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