venerdì 12 aprile 2024
L'ex ministra della Famiglia: i popolari sono portatori di un metodo, più che di un'ideologia. Lavorare per unire, in nome del bene comune, come è avvenuto per la legge dell'assegno unico per i figli
Bonetti. «Con Azione nuovo progetto al centro dopo il voto»
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«Dopo il voto europeo con Azione daremo vita a un nuovo progetto politico di centro, basta divisioni e giochi al ribasso», auspica Elena Bonetti.

Docente di Analisi matematica alla Statale di Milano, proveniente dallo scoutismo cattolico, è entrata in politica con il Pd di Renzi, ministra della Famiglia e Pari opportunità nel governo Conte 2 e poi con Draghi, avendo seguito Renzi quando ha fondato Italia viva. Ma poi, al momento della rottura del gruppo parlamentare Azione-Iv ha scelto di stare con il movimento di Calenda dando vita, insieme ad Ettore Rosato ed alcuni esponenti “civici” (come il consigliere comunale di Firenze Filippo Diaco, proveniente dalle Acli) alla componente dei Popolari europeisti riformatori.

Ma in Europa, tranne Forza Italia, tutte le altre presenze popolari sono destinate a non confluire nel Ppe, che per un popolare sembra lo sbocco naturale.

L’anima popolare non si connota per una forma ideologica, quanto per la capacità di farsi generatori di condivisione e unità delle scelte, in nome del bene comune. Mettendo da parte gli estremismi, facendo emergere la sintesi migliore.

In effetti Camaldoli mise le basi della Costituzione di tutti, più che di una parte politica. Ma in cosa può sostanziarsi, oggi, l’idea del cardinale Zuppi di una “nuova Camaldoli europea”?

Sicuramente la Difesa Comune, come si è detto. Ma non solo. L’Europa non può essere più un equilibrio fra Stati, serve una messa in comune di investimenti e debito, una politica sanitaria, un piano industriale di sviluppo. E serve un serio impegno comune contro la crisi demografica che investe tutto il Continente.

Il contrario del sovranismo, quindi?

Il sovranismo è una ricetta individualista, miope. Oggi serve il contrario, un progetto che faccia avanzare il processo unitario.

Dalla sua, a proposito di metodo condiviso, ha l’approvazione del Family act e della riforma dell’assegno unico per i figli. Un modello da consolidare?

È la dimostrazione che la realtà non si fa incastonare in ideologie preconfezionate, ma deve essere affrontata con spirito pragmatico. Ho lavorato, al governo, alla ricerca di ciò che unisce e non di ciò che divide, tanto per mettere una bandierina. Abbiamo creato tavoli di dialogo, mettendo al centro la responsabilità dello Stato nei confronti dei figli e siamo arrivati a vedere il tabellone verde in Parlamento. Ma il risultato ulteriore è che queste riforme non sono saltate con i cambi di maggioranza, e possono ora solo essere potenziate.

Per una volta i cattolici sono stati protagonisti.

È la dimostrazione concreta di quel che dicevo prima: è questa la cifra dell’impegno politico dei cattolici, la consapevolezza che quel che si fa non ci appartiene e occorre trovare scelte strutturali, stabili e condivise.

Il centro, dove lei ha scelto di collocarsi, dovrebbe essere il perno delle riforme. Ma intanto sulla riforma costituzionale siete divisi.

Non condivido la riforma del premierato, ed è stata una delle prime ragioni di disagio dentro Italia viva. Questa riforma uccide il dialogo nel Paese e inganna il popolo, illudendolo di decidere. In realtà si toglie la democrazia, il Parlamento diventa una cassa di risonanza del governo, l’opposizione può pronunciare solo dei no, non ci saranno mai dialogo e scelte condivise.

Renzi invece vuole il sindaco d’Italia, ed è d’accordo.

Dentro Iv ero una voce fuori dal coro, su questo, e non ho cambiato idea. Rafforzare il premier è un’idea giusta, ma ci sono altre formule, compatibili con la nostra democrazia parlamentare, come la sfiducia costruttiva. Un premier forte si può avere anche senza stravolgere tutto, lo abbiamo visto con Draghi che lo è stato, senza comprimere i poteri del capo dello Stato, che con Mattarella è altrettanto forte.

Il posto dei cattolici è stato sempre al centro, ma con un centro così diviso come si fa?

Bisogna guardare avanti, dar vita a un soggetto in grado di aggregare, che usi linguaggio e metodo liberi dalle polarizzazioni e dai personalismi. Il centro non può essere un terzo estremismo che si aggiunge a quelli di destra e sinistra. Il tempo per agire è adesso, ma occorre più responsabilità. Don Primo Mazzolari, mio conterraneo di Mantova, diceva: «Non lasceremo ad altri l’eredità dei nostri “adesso” traditi».


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