domenica 19 aprile 2020
Oms e ministero: segnalare anche chi presenta sintomi anomali «senza guardare la storia di viaggio» Era il 22 gennaio. Ma poi si dice di considerare sospetti solo i casi 'cinesi'
Cosi la ricerca dei casi "cinesi' ha fatto perdere un mese
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Il 22 gennaio il ministero della Salute chiedeva di segnalare come sospetto caso Covid–19, e trattarlo con le dovute precauzioni, anche chi manifestava sintomi anomali, «senza tener conto della sua storia di viaggio». Non solo casi “cinesi”, insomma. Quella circolare, la prima che mette in guardia dal rischio di un’epidemia, avrebbe forse potuto cambiare la storia del coronavirus in Italia. Poche righe di straordinaria lungimiranza che, se mantenute in vigore, avrebbero probabilmente permesso di avvistare con decisivo anticipo il divampare del contagi. Ma la direttiva fu modificata solo cinque giorni dopo, sulla base degli aggiornamenti dell’Oms. Per capire l’importanza di quel documento – che ha preceduto lo stato d’emergenza del 31 gennaio – tocca riavvolgere il nastro ai primi giorni dell’anno.

L’epidemia è definitivamente esplosa a Wuhan, che il 23 finisce in lockdown. L’Oms monitora la situazione e, nelle linee guida del 15 gennaio (recepite una settimana dopo dalla circolare italiana), chiede di trattare come caso “sospetto” chi manifesta sintomi respiratori e proviene dalla Cina. Ma aggiunge anche un criterio di grande prudenza che, riletto oggi, sembra contenere quasi un presentimento su quello che accadrà dopo. Il punto 2 della nota Oms (recepito nell’allegato 1 della circolare ministeriale) raccomanda infatti di considerare caso sospetto anche «una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato».

E, viene specificato, «senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica». Vanno dunque segnalati non solo i casi legati più o meno direttamente alla Cina, bensì qualsiasi sintomatologia “anomala”, a prescindere dall’indirizzo di casa o dai timbri sul passaporto. Ma la disposizione – seguendo come sempre le indicazioni Oms, spiega il ministero della Salute ad Avvenire – sparisce dalla successiva circolare del 27 gennaio, che aggiorna la «definizione di caso da segnalare» restringendo di fatto la ricerca ai soli casi “cinesi”.

Il cambio di approccio peserà sul destino di Alzano Lombardo, dove i primi tamponi furono effettuati solo il 22 febbraio, nonostante l’arrivo dei primi pazienti infetti in reparto già a partire dal 13 febbraio. Nella relazione spedita l’8 aprile a Regione Lombardia, Francesco Locati, direttore generale dell’azienda sanitaria Bergamo Est, nega di aver sottovalutato la situazione e sottolinea chiaramente che i pazienti «non venivano testati per il coronavirus in quanto venivano applicati i criteri della circolare del ministero della Salute del 27 gennaio 2020».

Almeno sotto il profilo formale, pare un ragionamento corretto. Perché tra i ricoverati non c’era nessuno che avesse viaggiato in Cina, o avesse avuto contatti diretti con casi Covid. Né tantomeno che avesse lavorato in un mercato di animali vivi di Wuhan. «Nessuno dei pazienti ricoverati in tale periodo presentava le condizioni previste dal ministero della Salute per la definizione di caso sospetto» rimarca Locati nella sua autodifesa. «Solo in data 22 febbraio, in seguito all’evidenza del focolaio nel lodigiano – continua –, veniva acquisita la consapevolezza da parte dei clinici che tale criterio epidemiologico non era più da ritenersi totalmente attendibile». A quel punto, senza più badare al protocollo, si procede a eseguire quei tamponi che il giorno dopo rivelano il temuto verdetto: Covid 19.


I pm di Bergamo e Milano sono al lavoro per ricostruire le prime fasi dell’epidemia. Sotto la lente anche tre circolari della Salute e le effettive mosse della Regione Lombardia L’ospedale orobico cita i protocolli: «Tamponi non immediati perché i pazienti non avevano legami con Wuhan». Era sparito il criterio iniziale, che rispuntò il 22 febbraio

«Dal momento del ricovero al momento del sospetto, erano tuttavia trascorsi alcuni giorni in cui si si suppone possa essersi verificata la diffusione del coronavirus all’interno del reparto interessato» ammette Locati. Un periodo fatale, perché quei ricoverati – non rientrando nelle fattispecie ministeriali – non vengono subito sottoposti alle misure di isolamento e sicurezza previste per i casi Covid. E’ l’inizio del disastro, il contagio inizia a dilagare in Val Seriana. Si poteva evitare? Se lo stanno chiedendo centinaia di famiglie che piangono i loro morti e, da una decina di giorni, anche la procura di Bergamo. I pm di Milano, invece, vogliono capire quali sono state le mosse della Regione Lombardia dopo aver ricevuto la circolare del 22 gennaio.

Il giorno dopo l’assessore al welfare Giulio Gallera convocò la task force della sanità lombarda, preallertando ospedali, Ats, medici, case di riposo e di cura. Bisognerà capire quali passi concreti sono stati compiuti, a partire dall’effettivo approvvigionamento di mascherine e altri materiali di protezione.

La circolare del 22 gennaio riveste un’importanza particolare, forse decisiva, perché se fosse rimasta in vigore avrebbe permesso (anzi imposto) ai medici di Alzano di sottoporre a tampone anche i pensionati malati che cominciavano ad arrivare da Nembro e Villa di Serio, senza mai aver sentito parlare di Wuhan in vita loro. Ma la direttiva è stata sostituita da quella del 27 gennaio citata da Locati, contenente criteri più mirati e restrittivi. Mentre l’epidemia stava già allungando i tentacoli in Italia e in Europa, il ministero della Salute (applicando le disposizioni emanate dall’Oms) e a cascata le Regioni, mantenevano lo sguardo fisso su Wuhan, abbandonando l’iniziale precauzione di esaminare anche i casi anomali “autoctoni”.

C’era d’altronde anche il parere rassicurante del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che parlava di «rischio moderato di introduzione dell’infezione in Europa». Ma c’è un altro colpo di scena. Il soppresso “punto 2”, che fin dall’inizio avrebbe consentito a tutte le realtà sanitarie del territorio di estendere di parecchio lo spettro dei controlli, riappare a sorpresa nella circolare del 22 febbraio, all’indomani della scoperta del primo caso di Codogno, avvenuta grazie alla forzatura dei protocolli in vigore in quel momento.

Ormai però era tardi. Aspettavamo che il virus scendesse da un aereo proveniente dalla Cina, e invece ce l’avevamo già nel cortile di casa. Probabilmente già da metà gennaio, quando furono rilevati picchi di polmoniti anomale in Lombardia e in particolare in Bergamasca. Anche in quel caso i radar della sanità non rilevarono nulla, nonostante il boom di prescrizioni di radiografie al torace. La silenziosa invasione del Covid 19 poteva iniziare, senza che nessuna sentinella se ne rendesse conto.

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