venerdì 30 settembre 2011
Presso l'Ufficio elettorale centrale della Cassazione sono state depositate oggi 1.210.406 di firme raccolte dal comitato referendario e dall'Idv per abolire l'attuale legge elettorale.
Voltiamo pagina di Marco Tarquinio
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Il segnale c’è ed è ben chiaro: gli elettori vogliono riprendersi il diritto di scegliere i propri candidati e chiedono al Parlamento una nuova legge elettorale. Il successo oltre ogni aspettativa della raccolta di firme per il referendum contro il "Porcellum" (l’attuale sistema di voto) convince anche chi – piuttosto che rischiare la propria convenienza – sarebbe tornato alle urne con la normativa firmata da Calderoli, mentre ora deve rimettersi a tavolino e studiare una via di uscita. Ieri il comitato referendario ha consegnato alla Corte di Cassazione duecento scatoloni con un milione 210.406 firme, prima di trasferirsi a Montecitorio per i festeggiamenti con i promotori della raccolta, Arturo Parisi (Pd), Antonio di Pietro (Idv), Mario Segni, Nichi Vendola e gli altri. Tutti certi che l’iniziativa porterà i suoi frutti.E già le parole del presidente della Repubblica confermano quanti, per aver creduto nella necessità di pungolare le Camere inerti sul tema, si sono messi di traverso ai rispettivi partiti. Perché l’idea di insistere sulla consultazione popolare per costringere il Parlamento a modificare la legge non era stata apprezzata all’unanimità. Specie nel Pd, che ha finito per dividersi. Non per questo, però, il segretario Pier Luigi Bersani ha rinunciato a impegnarsi nella raccolta di firme. Eppure ieri non è mancata la polemica tra gli ulivisti democratici, promotori del referendum, e il leader piddì, che plaudiva al risultato, ricordando di non averci «messo il cappello, ma i banchetti per raccogliere le firme sì...». Polemici, Zampa e Barbi, che replicano: «Sarebbe bello ed elegante se ora Bersani lasciasse il cappello sotto i banchetti anziché metterglielo sopra».

Ma, polemiche a parte, ora è il momento di decidere. Il presidente della Camera Gianfranco Fini auspica che «si riesca davvero a cambiare la legge, non necessariamente attraverso la celebrazione del referendum, ma anche attraverso l’azione che dovrà svilupparsi in Parlamento». Eppure restano in tanti a credere che sarà impossibile trovare un accordo nelle due Camere e che – piuttosto - la paura di far celebrare il referendum porterà al voto anticipato.Non ne è convinto il costituzionalista pd Stefano Ceccanti, per il quale, anzi, il referendum è destinato ad «accelerare i processi, come la sostituzione di Berlusconi». E a quel punto, dice, se «si riformano i due poli, si potrebbe trovare un’intesa tecnica». Il nodo, insomma, sarebbe tutto politico. E passa ancora una volta per l’uscita di scena del premier e la sua sostituzione. Se si confermasse un’ipotesi simile, e dunque con Alfano leader del Pdl, in tanti nel Pd credono che il terzo polo tornerebbe nell’area di centrodestra e il bipolarismo sarebbe di nuovo assicurato. Sebbene i veltroniani continuino a sperare in un Pd autonomo e indipendente da Vendola e Di Pietro. In ogni caso, specifica Ceccanti, il problema per ora «è politico e non tecnico. Senza Berlusconi si può trovare una sintesi parlamentare».

Per parte sua, il leader dell’Idv mette i propri paletti a una eventuale riforma elettorale. L’Italia dei Valori si dice disposta a sedersi a un tavolo per modificare le regole di voto, ma a tre condizioni. Prima «regola espressa: no a candidati che abbiano avuto una condanna» e «decadenza» dalla funzione se questa dovesse arrivare durante il mandato, scandisce Antonio Di Pietro. «No ad incarichi di governo per coloro nei confronti dei quali è stato chiesto un rinvio a giudizio» e decadenza dall’incarico se questo arriva durante l’incarico. E no alla possibilità che un parlamentare possa svolgere ulteriori attività. Di Pietro dice basta ai parlamentari-avvocati, ad esempio, «che la mattina scrivono le leggi che poi servono ai propri clienti».

La legge, dunque, potrebbe anche vedere la luce in questa legislatura. Resta il fatto che, se si vuole fare, bisognerà tenere conto delle indicazioni dei quesiti. E su questi il terzo polo è tutt’altro che d’accordo. Meglio sarebbe, per Casini, Fini e Rutelli, tornare alle urne. a meno di nuovi scenari politici.

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