lunedì 2 novembre 2015
​Dopo la denuncia di "Avvenire" l'Aler ha trovato per questa famiglia numerosa un alloggio a Milano. Era sfitto dal 2005. Qualche volta anche la burocrazia perde
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«Salga pure, quarto piano... Ah, l’ascensore non funziona». Ma per chi fino a settembre viveva in strada con i suoi cinque bambini sulle panchine di piazza Aspromonte, è solo un piccolo inconveniente. Quartiere Gratosoglio, estrema periferia sud di Milano: è qui che Roberta e Raffaele, con Luigi, Salvatore, Desiré e i due ultimi nati, i gemellini di 2 anni e mezzo Francesco e Maurizio, da ieri hanno finalmente una casa, con ampie stanze, un vero letto per ciascuno e persino due bagni. Dal 2012 erano in attesa dell’alloggio popolare che, secondo le norme, spettava loro, ma che sempre le norme vietavano: per una famiglia così numerosa, dice infatti la legge regionale, non è lecito assegnare un alloggio sotto i 90 metri quadri e, siccome da 90 metri quadri non ce n’erano, la famiglia restava per strada. Una burocrazia cieca, sorda e ottusa era incapace di uscire dal suo stesso circolo vizioso, almeno finché "Avvenire" il 3 settembre scorso non ha raccontato la kafkiana vicenda, inducendo così le istituzioni a un immediato attivismo. Anzi, poiché in lista d’attesa prima c’erano altre due famiglie numerose, la pratica si è rapidamente sbloccata anche per loro...

Quando "abitavano" ai giardinetti «In realtà la casa c’era, tant’è che questo appartamento era vuoto da dieci anni – sorride Roberta, milanese, 39 anni, troppo felice per polemizzare –, e comunque, la sera stessa in cui è uscito il vostro articolo, il Comune ci ha messi tutti in hotel». Ora la bella notizia: l’Aler (Azienda regionale per l’edilizia popolare) ha individuato la casa giusta per loro (che non è di 90 metri quadri, ma a volte anche la burocrazia ragiona), e ieri l’ingresso della famiglia al gran completo. «Quando siamo entrati la prima volta sembrava un groviera, i pavimenti erano a buchi, le porte sfondate, ma l’Aler ci ha detto che dovevamo pensarci noi. Vede il parquet? Lo abbiamo comprato in un grande magazzino e lo ha messo giù mio marito». Ora c’è ancora da risolvere con l’impianto idraulico, quando si apre il rubinetto in cucina l’acqua risale nella vasca da bagno... «Ma siamo troppo soddisfatti, ancora non ci possiamo credere, stavolta davvero abbiamo un tetto sulla testa e se piove o c’è il sole non ci cambierà più la vita. Noi continuavamo a dirlo alla Regione e al Comune che non volevamo una reggia, tutto era meglio piuttosto che vivere su una panchina».
Ai bambini non sembra vero di poter correre da una stanza all’altra di una casa che, quasi vuota di mobili, sembra ancora più spaziosa. Le lampadine pendono dai soffitti appese ai fili, nel tinello spoglio un divano rosso in ottime condizioni racconta di un lusso passato in chissà quale salotto («lo abbiamo comprato al mercatino dell’usato, volevano 60 euro ma quando hanno sentito la nostra storia ce l’hanno regalato»), la cucina, pulita e dignitosa, è il regalo di una famiglia di Ravenna, e i più fortunati sono Salvatore e Luigi, 12 e 16 anni, che hanno già la cameretta al completo. Desiré e i due gemellini per ora hanno solo le tre reti, ma i colori vivaci dei copriletto rendono gaia la stanza. Per la gioia dei bambini, si può ancora giocare a palla da una camera all’altra senza aprire le porte, che infatti non hanno il vetro. «Speriamo nella generosità di qualcuno per la cameretta dei tre piccoli e per la nostra camera matrimoniale – si appella ora mamma Roberta –, usate vanno benissimo. E magari una tivù», che con tanti bambini per casa è sempre un valido aiuto. Papà Raffaele, 49 anni, operaio, continua a portare a casa uno stipendio che d’ora in poi dovrà servire per i 311 euro al mese di affitto, la spesa e le bollette, almeno finché anche Roberta non inizierà a lavorare in una mensa aziendale dalla parte opposta della città, vicino alla vecchia e cara piazza Aspromonte. Donna coraggio, non si tira certo indietro: «Ogni mattina alle 7 con tutti i bambini prendo i mezzi e vado comunque in quella zona, perché la continuità didattica è troppo importante, voglio che proseguano lì le scuole, soprattutto Salvatore, che è in seconda media e ha un’insegnante di sostegno, e Desiré, che è già troppo traumatizzata...». A 4 anni dice solo una parola, «mamma», eppure sorride con dolcezza e capisce tutto. Da tempo gli psicologi cercano invano di sciogliere il suo nodo, «nessuna patologia» dicono. E adesso tutti sperano che la prima casa della sua vita faccia il miracolo, «sostengono che aveva bisogno di serenità e qui l’avrà», prevede la madre. Grazie alla silenziosa generosità di persone che non perdono tempo a giudicare ma soccorrono senza nulla chiedere: «Dobbiamo tutto alla San Vincenzo de’ Paoli della parrocchia di San Luca, che negli anni non ci ha mai lasciati soli e ha chiesto l’aiuto di "Avvenire" – racconta –. Ci hanno pagato tutto il trasloco, l’affitto del primo mese e la cauzione di 850 euro». Alla parrocchia di Santo Spirito, poi, «dobbiamo il pacco viveri mensile, ma anche piatti, bicchieri, tende... tutto quello che vede». Ma la solidarietà parla tutte le lingue e spesso viene da chi conosce i sacrifici: «Nell’hotel in cui il Comune ci ha ospitati da settembre, dove l’unico che pagava era mio marito, la proprietaria cinese si è commossa e lo teneva per dieci euro a notte». Resta solo un solo interrogativo, che forse resterà senza risposta: «Dal 2005 questa casa era vuota. Se "Avvenire" non avesse scritto la nostra storia, dove saremmo noi adesso?»
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