sabato 4 ottobre 2014
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Se ancora il braccio destro fosse stato valido, chissà se stasera, sabato 4 ottobre, in piazza Duomo a Milano, don Antonio Mazzi avrebbe resistito alla tentazione di unirsi all’Orchestra Filarmonica Italiana, quarantunesimo elemento, il più entusiasta al pianoforte. Accanto agli amici di sempre, i Nomadi, e a Luca Carboni, Nek, Francesco Renga e Annalisa. Cornice di lusso per la festa dei primi 30 anni di Exodus, partita nel 1984 dalla più disperata delle periferie milanesi, Parco Lambro, il più grasso mercato europeo dello spaccio, per approdare al centro, proprio sotto la Madonnina.Stasera (ore 21, diretta su Radio Rtl 102.5) l’antico eterno ragazzino non saprà resistere – possiamo giurarci – alla tentazione di salire sul palco e dire la sua, anzi le sue, perché la parola non gli è mai mancata. Spettinato come a 11 anni, quando fu bocciato in prima media per cattiva condotta. Ma allora trovò un adulto, un educatore attento, il suo professore di lettere che lo mise davanti a un pianoforte e lì, sui tasti, il piccolo Antonio indirizzò e ammaestrò aggressività e rabbia. Venticinque anni dopo sarebbe finito a martoriare una chitarra elettrica o a percuotere una batteria. Ma Antonio Mazzi nasce nel 1929, a Verona, troppo presto per il rock. Sarà il pianoforte («mi ha salvato la musica, suonavo fino all’esaurimento»), saranno i pensieri ordinati sotto la testa spettinata, ma fa il liceo, studia filosofia e teologia e a 25 anni è sacerdote della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, fondata dal veronese san Giovanni Calabria.Vi fanno sorridere i suoi modi naïf? Tendete a non prenderlo troppo sul serio, anche per quella sua cantilena veneta? Attenzione, perché Mazzi si specializza in Italia in psicologia e psicopedagogia; e all’estero approfondisce i temi legati alla disabilità alla Columbia University (Usa), al centro di riabilitazione di Heiselberg (Germania), e ancora in Olanda, in Francia a Mulhouse, in Svizzera e nei kibbutz israeliani. Non sarà uno che snocciola le sue competenze, don Mazzi, però le ha.Ed Exodus? Bisogna volare al 1984 quando lo mandano, per premio o punizione non si sa, a dirigere l’Opera don Calabria di via Pusiano a Milano, a ridosso del famigerato Parco Lambro. Si ritrova con un coltello alla gola e ricoperto di sputi. Perché tra chi vorrebbe il lanciafiamme per eliminare spacciatori e “spacciati”, e chi spaccia e ci guadagna, lui mobilita il quartiere, dà il via alla bonifica e “occupa” il territorio installandosi alla Cascina "Molino Torrette". Exodus nasce qui. Esodo, lunga marcia verso la terra promessa fatta di poche rose e tante spine. La sua è una comunità itinerante, una “Carovana”. Nove mesi per conoscere il mondo e i volti della generosità, del bene, della redenzione, con 13 ex tossicomani e 6 volontari.Il resto è storia nota. Oggi Exodus ha 26 comunità in Italia e altre all’estero. Don Mazzi diventa personaggio televisivo, ospite di molte trasmissioni (tra cui Domenica In) ed egli stesso conduttore a Telenova. Scrive sui giornali, tra cui Avvenire. Parla, sempre a braccio. A volte dice una parola che per alcuni è di troppo. A volte altri si chiedono se un prete debba per forza frequentare certe trasmissioni e certe compagnie. «Non credo di essere superficiale e malato di protagonismo» replica lui che ben conosce le critiche che gli sono rivolte.Impossibile pettinare don Mazzi. Difficile anche fargli parlare di certi suoi salvataggi di persone (tristemente) famose, come gli ex terroristi. Uno su tutti, scomparso: Marco Donat Cattin. Se gli chiedete perché fa quel che fa ed è quel che è, risponde con quello che gli rivelò David Maria Turoldo in confessione: «Hai aiutato gli altri per salvare te stesso». Il futuro? «Non occorrono strutture speciali per prevenire le dipendenze, tutte. Prevenire è educare a presenze vere e relazioni autentiche. In famiglia, a scuola, nel tempo libero. Dobbiamo tornare a don Bosco e a Baden Powell». Occorrono «avventure positive». Finisce di parlare e i capelli sono un poco più spettinati.
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