lunedì 19 giugno 2017
La regione «è nodo di scambio di traffici illeciti di rifiuti» scriveva già nel 1999 la "Commissione parlamentare sulle ecomafie". E il processo Aemilia sta svelando le infilitrazioni della ndrangheta
Mafie e rifiuti tossici in Emilia, 18 anni fa il primo allarme
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Diciotto anni fa. L’Emilia Romagna «è divenuta nodo di scambio di traffici illeciti di rifiuti, cui ricorrono sia società e soggetti che svolgono attività d’intermediazione, sia organizzazioni criminali operanti soprattutto in Campania e Puglia», scriveva la “Commissione parlamentare sulle ecomafie” nella sua relazione sulla Regione, datata 15 luglio 1999. E scriveva anche altro. Come «una diffusa illiceità nel ciclo dei rifiuti», come i «ventimila litri di liquidi riversati nel fiume Mesola, presso Cesena, con gravi ripercussioni sulle stesse falde idriche», come «il ritrovamento di ottantotto fusti metallici contenenti reflui industriali esausti, abbandonati in un terreno del comune di Montale, nel piacentino» o il ritrovamento «di un contenitore per rifiuti radioattivi addirittura nell’oasi naturalistica di Punte Alberete, nei pressi di Ravenna».

Raccontava, la Commissione, una situazione già pesante. «Un settore che in Emilia Romagna appare particolarmente esposto al rischio di comportamenti illeciti è quello relativo all’attività svolta dai numerosi centri di stoccaggio nella Regione - si legge -. I quali offrono facilmente il fianco ad attività di miscelazione tout court e modifica, mediante alterazioni e falsificazioni dei documenti di accompagnamento della tipologia dei rifiuti tossico-nocivi, con grave danno per l’ambiente e la salute dei cittadini». E i dati «evidenziano il ricorso a tale pratica illegale presso centri di stoccaggio di diversi comuni», suscitando «particolare allarme per la natura e diffusione del fenomeno». Al punto che «la Commissione – conclude la relazione – ritiene doveroso reiterare l’invito a una sempre più puntuale azione di controllo sui centri di stoccaggio». Tanto più che l’Emilia Romagna «è sito di produzione di importanti quantità di rifiuti pericolosi, ma con possibilità di smaltimento molto inferiore alla necessità».

Sappiamo da un pezzo che negli ultimi decenni sono stati sversati rifiuti pericolosi anche in Emilia Romagna. Nunzio Perrella, pentito di camorra che fu tra i gran ciambellani del traffico illecito di rifiuti, ha raccontato come la sua società partecipasse «alle gare per l’appalto dello smaltimento dei rifiuti in Emilia, in Toscana, dovunque fossero». Qualche dettaglio? «Ho scaricato nel settentrione rifiuti di ogni genere, anche quelli nocivi. Una volta riempite le discariche del Nord, abbiamo cominciato a scaricare al Sud ». Al Nord dove? «Ho gestito io gli smaltimenti di rifiuti di ogni tipo nelle discariche in Emilia-Romagna, in Liguria, in Piemonte». Esempi? «Ferrara è stata riempita fino all’osso».

Ma le mafie fanno diversi banchetti da queste parti, non solo quello dei rifiuti. Alfonso Perrone, “’o Pazzo”, ha molto raccontato alle Dda di Bologna e di Napoli sui Casalesi e le loro attività a Modena. Nel 2012 l’allora Procuratore antimafia di Firenze, Pietro Suchan, rinvia a giudizio Giovanni Gugliotta, autotrasportatore modenese (insieme a un altro autotrasportatore del Mugello), per un giro di false fatturazioni fra il 2004 e il 2005 che servivano a ripulire soldi di clan a Casal di Principe e Nola. Il sistema è rodato: i soldi delle fatture fittizie venivano restituiti “puliti” in appalti, neanche questi mai realizzati, ad altre imprese. E Gugliotta era già stato arrestato nel dicembre 2006 in un’inchiesta per droga coordinata dalla Dna.

Ancora. Nel 2010 la Dda di Bologna arresta venti persone nel modenese fra le quali c’è il boss casalese Pasquale Zagaria e altre in provincia di Reggio Emilia riconducibili agli Schiavone: si trattò dell’operazione “Pressing”, grazie alla quale vennero scoperte estorsioni e pizzo a imprenditori edili e commercianti.

Sappiamo, poi, come anche la ‘ndrangheta sia sbarcata da tempo e in forze a Reggio Emilia. Fa fede il processo Aemilia, le sentenze per alcuni stralci con rito abbreviato arrivate le scorso anno raccontano di dodici assoluzioni, una prescrizione, cinquantotto condanne. La più alta, quindici anni, l’ha presa Nicolino Sarcone, considerato uno dei capi della cosca che secondo i pm ha come punto di riferimento la ‘ndrina Grande Aracri di Cutro, in Calabria.



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