Draghi archivia questa Europa: «È evaporata l'illusione di contare»
di Paolo Viana
Le guerre (combattute e commerciali), l'ostilità di Cina e Usa: il banchiere sottolinea come senza riforme e consenso popolare resteremo spettatori

Mercoledì prossimo, per Giorgia Meloni sarà più facile superare la sfida dell’applausometro che dire qualcosa di diverso da Mario Draghi sulla necessità che l’Europa, oltre a riarmarsi, acceleri bruscamente sulla strada dell’integrazione. Con il discorso di ieri, a Rimini, l’ex presidente del Consiglio ha tirato le somme del piano per la competitività europea che porta il suo nome e che tutti citano; ma l’ha fatto indicando una strada e una sola, quella di «nuove forme di integrazione» che sono inequivocabilmente politiche.
Dialogando con il presidente del Meeting Bernhard Scholz, Draghi ha professato un «europeismo molto pragmatico, poi diventato politico ma che all’inizio non partiva dai grandi principi». L’ascriversi questo «europeismo con i piedi per terra» non aveva nulla di umile: vuol dire che non c’è più tempo per scegliere una strada diversa da quella che disegnano una guerra alle porte, una Cina che non ci considera «un partner alla pari» e un alleato come gli Stati Uniti che ci impone i dazi e un riarmo, «in forme e modi che probabilmente non riflettono l'interesse dell’Europa».
Con la felpata brutalità del banchiere, Draghi ha fatto capire che in un anno il mondo è cambiato e che bisogna voltare pagina sull’ideologia della globalizzazione, della quale è stato se non uno dei teorici sicuramente un grand commis: «Per anni l'Unione Europea ha creduto che la dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e nelle relazioni commerciali internazionali. Quest'anno sarà ricordato come l'anno, in cui questa illusione è evaporata». Qualche prova? Quest'Unione debole e ancora divisa non ha parte in commedia se non quello della comparsa, e «nonostante abbia dato il maggior contributo finanziario alla guerra in Ucraina, e abbia il maggiore interesse in una pace giusta, ha avuto finora un ruolo abbastanza marginale nei negoziati per la pace»; analogamente, «è stata spettatrice anche quando i siti nucleari iraniani venivano bombardati e il massacro di Gaza si intensificava».
Il discorso sottende la preoccupazione per due debolezze: quella geopolitica e militare ma anche quella politica interna. L’eurocetticismo ha «raggiunto nuovi picchi» ed anche se quanti oggi «sostengono che l'Ucraina dovrebbe arrendersi alle richieste della Russia non accetterebbero mai lo stesso destino per il loro paese» in quanto «anche loro attribuiscono valore alla libertà, all'indipendenza e alla pace, sia pure solo per se stessi», è necessario cambiare l’organizzazione dell’Ue e, dopo aver archiviato le politiche del rigore, rinunciare anche alla visione neoliberale del ventennio 1980/2000, compresa la fiducia cieca nel libero scambio e nel rispetto degli accordi multilaterali. «Quel mondo è finito e molte delle sue caratteristiche sono state cancellate» ha ammesso. L'Europa è poco attrezzata ad affrontare i cambiamenti che servono, ha osservato, pertanto «noi europei dobbiamo arrivare a un consenso su ciò che questo comporta».
Tutto il discorso di Draghi dunque punta lì: l’Unione europea è rimasta l’ultima grande democrazia e per resistere all’aggressione degli autarchi oggi ha un grande bisogno del consenso popolare. L’ex premier è arrivato a indirizzare al pubblico, ed idealmente agli italiani, una chiamata alle armi (politiche) degna di Sir Winston Churchill nell’ora più lunga: «Possiamo cambiare la traiettoria del nostro continente. Trasformate il vostro scetticismo in azione, fate sentire la vostra voce. L'Unione Europea è soprattutto un meccanismo per raggiungere gli obiettivi condivisi dai suoi cittadini. È la nostra migliore opportunità per un futuro di pace, sicurezza, indipendenza: è una democrazia e siamo noi, voi, i suoi cittadini, gli europei che decidono le sue priorità». Nel momento in cui le sirene di Trump e di Putin all’interno del governo lavorano in senso opposto, Draghi si schiera dall’altra parte: «Distruggere l'integrazione europea per tornare alla sovranità nazionale non farebbe altro che esporci ancor di più al volere delle grandi potenze».
Per cambiare passo servono però riforme importanti: «ciò che è rimasto indietro è il settore pubblico dove sono più necessari i cambiamenti decisivi»; si può aumentare la produttività del lavoro riducendo le barriere interne che oggi pesano come una tariffa del 64% sui macchinari e del 95% sui metalli; si può raggiungere una certa indipendenza nelle tecnologie strategiche istituendo un regime giuridico uguale in tutto il territorio Ue per le Pmi; infine, «soltanto forme di debito comune possono sostenere progetti europei di grande ampiezza». L'Unione Europea ha dimostrato capacità di adattamento infrangendo tabù, come il debito comune nel programma Next Generation, e reagendo con rapidità durante la pandemia e all'invasione russa dell'Ucraina. Ma queste erano risposte a emergenze. La sfida e' agire con la stessa decisione in tempi ordinari» ha concluso.
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