venerdì 10 marzo 2017
La chiesa di Sant'Ildefonso gremita per l'incontro chiesto dalla madre e dalla sorella dell'uomo tetraplegico morto in Svizzera nella clinica del suicidio assistito.
La preghiera per dj Fabo. «Occasione per riflettere sul senso della vita»
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Fabo non c’è, non c’è il suo corpo al centro della chiesa perché non è un funerale. Eppure Fabo c’è. C’è negli sguardi tristi dei tanti amici, i primi a gremire la chiesa di Sant’Ildefonso, a Milano, per l’incontro di preghiera voluto da sua madre Carmen. C’è nel sorriso gentile di Valeria, la sua fidanzata, paziente nell’accogliere l’abbraccio di amici e sconosciuti. C’è soprattutto nel dolore stanco di Carmen, che entra per ultima e si siede in prima fila, accanto a Valeria. È grande la chiesa ed è stracolma, centinaia di persone sono lì per pregare insieme, compresa l’intera comunità della parrocchia, cittadini usciti dal lavoro e giunti in tempo per il rito che ha inizio alle 19.


«Siamo qui nella chiesa in cui Fabo ha ricevuto i sacramenti – esordisce il parroco don Antonio Suighi, che poco prima ha spiegato ai giornalisti il senso del Vangelo e ha chiesto alle telecamere di restare all’esterno –. La nostra fede in Dio, padre della vita, ci raduna per ascoltare la sua Parola, per implorare la sua misericordia, ritrovare la via della speranza e chiedere il dono della pace di fronte al nostro smarrimento. Ma prima ascoltiamo il ricordo che Valeria ha di Fabo...».

Ed è la fidanzata a portare le parole che Fabo le aveva affidato prima del gesto estremo e disperato, compiuto il 27 febbraio in una clinica svizzera del suicidio assistito: «Pensaci tu – le ha detto – spiegalo a tutti che l’amicizia vera è un’alleanza... Ho impiegato molto tempo e ho girato il mondo per imparare l’amore», parole dolci e dure insieme, che parlano anche di ceppi e devastazione nel corpo, e poi di odio e di perdono.

«La scelta che fai, odio o perdono, può diventare la storia della tua vita», continua Fabo attraverso Valeria. E ciò che intende si fa più chiaro quando lei spiega: «Mi bastate tu e la mamma, mi dicevi sempre, ma io ti conoscevo e sapevo che non era vero, che soffrivi tanto», ricorda, accennando a tante persone che «oggi impropriamente usano la parola amicizia», ma che dopo l’incidente, nei mesi della sofferenza «si erano allontanati».

Non è facile restare vicino a chi ha estremo bisogno e chiede molto. «Mi hai chiesto di non essere triste, invece a costo di farti arrabbiare io ti dico "ciao, cucciolo di cane"...», lo scherzo di due innamorati, che ora le incrina la voce e fa piangere tutti. Le ultime parole di Fabo pronunciate dalla voce di Valeria sanno di preghiera per tutti, fedeli e no: «Nella notte mentre il mondo
si riposa mi troverai nel posto che mi conosce meglio. Ritornerò presto, mi sono sentito vivo nel palmo della tua mano, durante il giorno mi troverai sempre al tuo fianco...». Pensieri di vita che vincono la morte, e mamma Carmen abbraccia Valeria in lacrime.

Poi tocca a don Suighi il compito più duro, dare un senso al mistero della sofferenza, soprattutto guidare una meditazione su quanto è successo. La lettura dall’Antico Testamento parla di Giobbe, l’uomo della sofferenza estrema, «ma che non si perde d’animo e dà una risposta grande: "Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?". Oscilla tra rabbia, fatica e affidamento, e Dio alla fine lo incontra nella sofferenza. È vero, nella sofferenza Dio lo si può anche perdere, ma Giobbe indica l’altra via. Fabo oggi Lo avrà già incontrato».

Nessuno fiata, tutti ascoltano. Mamma Carmen tiene gli occhi a terra e spesso annuisce, minuta e stremata. «Siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli», è la lettura da Giovanni, «chiunque odia il proprio fratello è omicida e nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna». Poi il Vangelo di Luca, e i due viandanti di Emmaus che non riconoscono Cristo risorto, che
pure cammina al loro fianco: «La frase che sempre mi colpisce, e anche stasera, è questa – commenta il parroco –: "Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo". Cercavano un Dio forte e potente, ma hanno visto il Dio condannato alla croce. Quante volte succede anche a noi? È difficile nella sofferenza e nella solitudine vedere Dio. Ma stasera siamo in tanti, Fabo ci ha radunati, ora tocca a noi: approfittiamo di questo per lasciarci sorprendere da Gesù». Poco prima, sul sagrato, don Suighi aveva auspicato che da questa occasione nascesse una riflessione di tutti sul senso della vita (vedi video).

Poi si rivolge alla madre, un accenno complice a ricordi comuni, «gli anni dell’oratorio con il coadiutore don Giovanni», e lei per la prima volta sorride, rivede Fabo bambino.

L’ultima invocazione al Padre è per lui, «fa’ che nostro fratello Fabo ti possa incontrare nella tua casa di luce e di pace». La mamma annuisce forte, questa volta. Il Padre Nostro unisce le mani di tutti, poi Valeria e Carmen fanno un segno di croce: è finita, le porte si aprono. Nel cuore di tutti il miracolo di una nuova serenità prima impensabile, un silenzio rispettoso e grato. Ma fuori, agghiaccianti e stonati, partono i fuochi d’artificio. Accolti dal silenzio indignato di chi a Fabo vuole bene e non lo usa.

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