venerdì 26 marzo 2021
La campagna Abiti Puliti: la catena Ovs rinuncia all'importazione di tessuti dalla regione cinese dello Xinjiang che produce un quinto della fibra mondiale. Anche il Papa solidale con la minoranza
Uno stabilimento di produzione del cotone in Cina

Uno stabilimento di produzione del cotone in Cina

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Dall'Italia un primo passo nella campagna di solidarietà con il popolo uiguro. Una grande catena di abbigliamento, qual è Ovs, ha accolto la richiesta della Campagna Abiti Puliti, impegnandosi a rinunciare per i suoi prodotti tessili al cotone prodotto in Cina con il lavoro forzato degli uiguri, detenuti in campi di "rieducazione". La minoranza musulmana cinese dello Xinjiang, infatti, secondo Stati Uniti, Canada, Belgio e molte Ong è oggetto di una vera persecuzione da parte del governo centrale di Pechino. E il lavoro forzato degli uiguri produce circa un quinto di tutto il cotone mondiale a prezzi concorrenziali. Anche Papa Francesco ha avuto parole di solidarietà con la minoranza musulmana cinese, nel libro sulla pandemia Ritorniamo a sognare pubblicato a dicembre 2020: «Penso spesso - aveva detto - ai popoli perseguitati: i Rohingya, i poveri uiguri gli yazidi».

Così da luglio 2020 la campagna di pressione End Uyghur Forced Labour, condotta da oltre 300 organizzazioni nel mondo - tra cui in Italia la Campagna Abiti Puliti - sta chiedendo ai grandi marchi dell'abbigliamento di boicottare il cotone cinese prodotto in violazione dei diritti umani. Abiti Puliti ha raccolto l'impegno pubblico di Ovs a dismettere gli approvvigionamenti dallo Xinjang e uscire dalla regione uigura.

«È un passo significativo per i diritti del popolo uiguro», sostiene Abiti puliti: «Da 1 a 3 milioni di persone internate dal governo cinese in campi di lavoro forzato produce circa un quinto del cotone utilizzato dai marchi della moda su scala mondiale». Indottrinamento, rieducazione, violenze, sterilizzazione forzata sarebbero, secondo le Ong, le pratiche «utilizzate per opprimere la popolazione uigura e sfruttarla illecitamente come forza lavoro gratuita».

«Per la prima volta in 30 anni - spiega Deborah Lucchetti, coordinatrice di Abiti Puliti - anche l’Unione europea il 22 marzo ha imposto sanzioni economiche su alcuni ufficiali cinesi a causa del trattamento inumano riservato agli Uiguri. Se la politica ha fatto timidi passi avanti, l’economia non vuole sentire ragioni: sono ancora pochi - sostiene - i marchi che hanno preso le distanze dalla Regione e ignorarla volutamente è diventato inaccettabile».

L’84% del cotone prodotto in Cina viene dalla regione uigura, pari al 20% della produzione mondiale: un abito in cotone su cinque dunque è prodotto con l’uso di lavoro forzato. «Chiediamo a marchi e distributori tessili - dichiara Lucchetti - di abbandonare definitivamente la regione uigura ad ogni livello della loro catena di fornitura, dall’approvvigionamento del cotone all’importazione di prodotti finiti. Le imprese multinazionali hanno un potere enorme. E hanno anche la responsabilità di adottare qualsiasi misura possibile per adempiere agli obblighi di responsabilità aziendale e di rispetto dei diritti umani, così come stabilito dai Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Ci auguriamo che l’adesione di Ovs convinca altri marchi», conclude Deborah Lucchetti.


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