martedì 29 aprile 2025
Il giro d’affari del settore militare mondiale ha fatto un balzo del 9,4% nel 2024. E ora le aziende del comparto occupano con rapidità fabbriche e spazi lasciati vuoti dalla crisi dell’automotive
Esposizione di mezzi pesanti della tedesca Rheinmetall

Esposizione di mezzi pesanti della tedesca Rheinmetall - Imagoeconomica

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Nel 2024 - quindi ancor prima del Piano ReArm Eu - la spesa militare mondiale ha raggiunto già un nuovo record: 2.718 miliardi di dollari, la cifra più alta di sempre e un +9,4% rispetto al 2023. È quanto emerge dal nuovo rapporto del Sipri, l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma. A spendere di più in armi sono sempre gli Stati Uniti, con un investimento complessivo di 997 miliardi, ossia il 37% del totale della spesa militare mondiale e il 5,7% in più rispetto alla spesa del Paese nell’anno precedente. A seguire la Cina, con 314 miliardi (+7%), e la Russia con 149 miliardi investiti e un incremento del 38%. Tra coloro che fanno un balzo in avanti, quello più rilevante lo registra Israele, con un +65% in armi. Il Giappone incrementa del 21%. Anche tutti i Paesi europei hanno aumentato le spese in armi nel 2024, a eccezione di Malta. Oltre alla Germani, diventata il primo Paese in Europa centrale e occidentale e il quarto al mondo per spesa militare, un incremento importante c’è stato anche in Polonia (+31%).

Creare già oggi i presupposti di un’eventuale «economia di guerra», ad esempio cominciando a convertire, in stabilimenti dell’industria militare, delle fabbriche inizialmente concepite per produzioni civili, come quelle automobilistiche. In Francia, si avanza su questa strada, alla luce pure di una serie di rapporti e studi che hanno evidenziato delle presunte «lacune» nel sistema di produzione di armi e munizioni. Ciò ha finito per spingere il governo a ufficializzare molto rapidamente il proprio via libera a questa strategia. La quale, adesso, si accinge ad entrare in una fase pienamente operativa. Il caso più significativo, finora, è quello di uno stabilimento storico risalente al 1966, “Fonderie de Bretagne”, non lontano da Lorient, nell’Ovest transalpino. Si tratta di una fabbrica tradizionalmente dedicata alla componentistica automobilistica, a cominciare dalle sospensioni e dai tubi di scappamento. Degli elementi per equipaggiare fin qui soprattutto dei modelli della Renault, il marchio che in passato era proprietario dello stabilimento, poi passato a un fondo tedesco d’investimento.

Ma gli alti e bassi degli ultimi anni nell’industria dell’auto avevano già provocato delle interruzioni nelle cadenze abituali della fabbrica. Tanto che lo stabilimento, ancora dipendente quasi interamente dalle ordinazioni di Renault (95%), si trovava in acque torbide, anzi giuridicamente proprio davanti alla prospettiva di una chiusura. La situazione di stallo, sotto protezione giudiziaria, si era protratta per mesi, con i sindacati sul piede di guerra, ma in parte già rassegnati all’idea di un destino tutt’altro che roseo per la struttura produttiva e soprattutto per i 285 lavoratori dipendenti.

Su questo sfondo decisamente fosco, il mese scorso, si è fatta luce l’ipotesi di una riconversione dell’impresa per produzioni a carattere bellico. Proprio in questa chiave, è stato appena ufficializzato un accordo destinato a evitare un fallimento definitivo, mantenendo lo stabilimento quasi interamente in attività. Ma dai tubi di scappamento, si passerà a una produzione sostenuta di munizioni, per cannoni e altri elementi d’artiglieria. Il nuovo gruppo acquirente, Europlasma, si è impegnato a investire 15 milioni di euro nell’arco di 3 anni, rassicurando quanti temevano un’operazione finanziaria a carattere speculativo, come altre che hanno già portato, in un breve arco di tempo, allo smantellamento irreversibile di altre strutture. Da parte dei vertici di Fonderie de Bretagne, il salvataggio in chiave militare è stato presto accolto come «un’opportunità unica, poiché permetterà un incremento rapido della produzione e un’accelerazione della diversificazione delle attività al di fuori del settore automobilistico», secondo il comunicato ufficiale. L’obiettivo produttivo del piano presentato da Europlasma è di circa un milione di proiettili all’anno. L’accordo di ripresa dovrebbe permettere di evitare qualsiasi licenziamento diretto, con una riduzione limitata degli organici che verrà gestita attraverso dei prepensionamenti o delle riconversioni volontarie. All’operazione, è stata chiamata a partecipare in primo luogo Renault (25 milioni di euro). Come sempre può capitare in Francia, sono entrati nella cordata del salvataggio, pure lo Stato e diversi enti locali, pronti a garantire congiuntamente un prestito di 7 milioni di euro.

Adesso, il caso “Fonderie de Bretagne” farà scuola nel Paese? Di certo, non mancano già altri esempi, come per Delair, un fabbricante di droni civili che produce ormai nel Midi degli apparecchi militari utilizzati in Ucraina. A metà marzo, il presidente Emmanuel Macron aveva convocato i principali gruppi nel settore della Difesa, proprio allo scopo di accrescere la produzione di armamenti, anche puntando sulla riconversione di fabbriche “civili” in difficoltà. Una tendenza già vista in Francia, come ricordano non pochi osservatori, in corrispondenza delle pagine più fosche della storia novecentesca europea.

Gli stabilimenti Volkswagen nel mirino di Rheinmetall per costruire carri armati

La spesa militare tedesca nel 2024 è aumentata del 28% rispetto all’anno precedente. E la grande industria dei settori auto e siderurgico è pronta a convertire stabilimenti e a collaborare con la più grande azienda bellica tedesca ed europea, la Rheinmetall, per aumentare la produzione di armi. Secondo un rapporto, pubblicato ieri dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), la spesa per la difesa della Germania lo scorso anno è aumentata di oltre un quarto. In totale le spese nel settore sono arrivate a 77,6 miliardi di euro, 88,5 miliardi di dollari. La Germania ha anche allentato le regole sul rapporto deficit/Pil ancor prima degli altri Paesi e fatto ricorso all’indebitamento per le spese militari. «L’obiettivo nel 2025 e negli anni seguenti è portare la spesa per la difesa della Repubblica federale tedesca al 3% del Pil», ha ribadito recentemente il ministro della Difesa, il socialdemocratico Boris Pistorius, che dovrebbe mantenere il suo ministero anche nella prossima legislatura. Centrando l’obiettivo del 3%, la Germania porterebbe la spesa totale nel settore bellico e della difesa sopra i 100 miliardi annui.

L’economia tedesca, ormai da oltre due anni, è in recessione o ristagna, la grande industria, in particolare i settori automobilistico, siderurgico e chimico, è caduta in una crisi profonda, molte aziende hanno annunciato tagli e chiusure di stabilimenti. Ma intanto il settore bellico vola: Rheinmetall, Diehl Defence, Thyssenkrupp Marine Systems e Mbda, quattro appaltatori della difesa con una forte presenza in Germania, hanno aggiunto, negli ultimi tre anni, più di 16.500 dipendenti, con un aumento di oltre il 40%. Prevedono di assumerne circa 12.000 in più entro il 2026. Rheinmetall prevede di aumentare il dividendo del 42% nel 2025, Hensoldt, altra azienda del settore bellico, del 25% e il produttore di scatole del cambio per carri armati Renk del 40%. «Rheinmetall è un’azienda a partecipazione statale, la cui quota azionaria aumenterà nei prossimi anni – ha sottolineato l’amministratore delegato dell’azienda che ha sede a Düsseldorf Armin Papperger –. Se stiamo usando i soldi dei contribuenti tedeschi per la sicurezza, allora bisogna creare posti di lavoro anche in Germania». Papperger ha confermato l’interesse dell’azienda a rilevare potenzialmente stabilimenti automobilistici in esubero. Il mese scorso una delegazione di Rheinmetall ha visitato lo stabilimento Volkswagen a Osnabrück, nella Germania nord-occidentale, ormai destinato alla chiusura secondo i piani dei vertici della Vw, approvati anche dal sindacato Ig Metall. Ma la produzione di carri armati e le munizioni potrebbero salvare centinaia di posti di lavoro, anche per questo Rheinmetall è pronta a rilevare lo stabilimento di Osnabrück.

Il colosso bellico tedesco, inoltre, insieme al produttore di radar e sensori Hensoldt, si è anche impegnato ad assumere circa trecento lavoratori licenziati da Continental e Bosch, due dei maggiori fornitori di componentistica di automobili in Germania. Nella corsa al riarmo potrebbero essere coinvolte decine di aziende, anche del cosiddetto indotto. L’ultima in ordine di tempo è la Alstom, azienda di Görlitz nell’est della Germania che produceva treni a due piani per la Deutsche Bahn. A partire dal prossimo anno, la fabbrica di treni, da 176 anni guidata e gestita dalla famiglia Liebig, inizierà a produrre componenti per i carri armati Leopard II e i veicoli da combattimento per la fanteria Puma. L’appaltatore della difesa franco-tedesco Knds è intervenuto per rilevare il sito e gli stabilimenti che Alstom aveva deciso di chiudere. Il boom di investimenti statali e industriali nel settore bellico richiederà anche un aumento di personale e militari. Nella prossima legislatura non si esclude la reintroduzione della leva obbligatoria. Intanto nel 2024, secondo l’Ufficio federale della Bundeswehr, sono state registrate oltre 52.000 domande per entrare nelle forze armate, circa il 20% in più rispetto all’anno precedente.


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