domenica 8 gennaio 2017
Il giallo mai risolto delle scorie inviate in Libano e poi tornate in Italia. Il caso delle sostanze tossiche rientrate dal Medio Oriente. E un cargo siriano fece impazzire i sensori sovietici
«Da Genova partirono 131 navi radioattive»
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Prima della Somalia ci fu il Libano. Il traffico di rifiuti dall’Italia (e dall’Europa) verso il Sud del mondo ha una costante: i veleni finiscono dove c’è una guerra in corso. Chi ha fame di armi stringe il patto con il diavolo: in cambio di mitra e tank, si prende la spazzatura occidentale. Scarti industriali, sostanze altamente tossiche. E scorie radioattive. Tutta roba che poi magari viene rimpatriata una volta scoperta, per finire chissà dove, in qualche discarica lungo la Penisola, a spese del contribuente. La storia inizia in Medioriente. Il 13 ottobre 1988, una 'fonte d’ambiente'.segnala al Sismi (nota rimasta top secret fino a 2 anni fa) una notizia in prima pagina del quotidiano governativo egiziano Al Ahram.

«Un funzionario siriano – scrive la fonte su un foglio a quadretti – ha denunciato vari alti personaggi del governo, che si sarebbero fatti corrompere dalle autorità italiane per 40 milioni di dollari in cambio della ricezione di rifiuti tossici atomici». Secondo l’informatore, le scorie sarebbero entrate in Siria attraverso il porto di Tartous su ordine di alti funzionari e dei figli del ministro degli Esteri. «Quel materiale è stato sotterrato a 5 metri di profondità in Siria e in parte nella valle della Bekaa in Libano». La Bekaa è il santuario dei miliziani palestinesi, verso cui l’Italia ha sempre adottato una politica 'morbida'.

E proprio dal Libano, in quegli anni, tornano in Italia i veleni smaltiti senza troppi scrupoli a Beirut e dintorni, con gravi danni per la popolazione. Dopo il rimpatrio, però, se ne perdono le tracce. Ancora oggi la loro destinazione resta un mistero. Così come rimane un giallo quanto scoperto sette anni dopo a Genova dai carabinieri di Reggio Calabria e dal capitano di corvetta Natale De Grazia, durante la caccia alle «navi a perdere ». La capitaneria di porto fornisce agli investigatori «uno specchio particolareggiato e riepilogativo di tutti i carichi e scarichi di materiali radioattivi avvenuti normalmente sulle banchine del porto». I numeri lasciano sgomenti: «È emerso che ben 131 navi, dal 1985 al 1992, quindi ben oltre il 1987, anno in cui l’Italia aveva scelto la moratoria sul nucleare con referendum, hanno compiuto simili operazioni ».

Come se non bastasse, nell’informativa i militari aggiungono che il fenomeno «è di gran lunga più vasto» e che la nave è «il mezzo più sicuro per il trasporto del nucleare, così come il mare è il sito più agevole e remunerativo per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi». Resta ignota anche la sorte dei rifiuti scaricati nel giugno 1988 sul molo di Genova dalla nave Zanoobia, dopo un periplo di un anno e mezzo. L’odissea comincia l’11 febbraio 1987, quando il cargo Lynx salpa tra le proteste degli ambientalisti da Marina di Carrara. A bordo ci sono sette container di scorie chimiche delle industrie del Nord Italia, inclusa l’Acna di Cengio: li ha raccolti la società milanese Jelly Wax, per spedirli a Gibuti. Ma la Marina francese, che vigila sull’ex colonia, sente puzza di bruciato e respinge la nave. La Lynx viene deviata inVenezuela. I fusti vengono sbarcati a Puerto Cabello, ma il governo costringe gli italiani a riprenderseli in fretta dopo che alcuni operai sono svenuti per le esalazioni. Si ricarica il tutto sulla Makiri, che fa rotta verso la Siria. Tartous, di nuovo. I servizi siriani però si mettono di traverso e fanno trasbordare il carico sulla Zanoobia, che salpa per la Grecia. Ma alla fine le scorie tornano al punto di partenza: la Zanoobia resta in quarantena per circa un mese al largo di Marina di Carrara, in attesa di una decisione. Dopo vari malori a bordo, i bidoni vengono scaricati a Genova.

«Come sono stati smaltiti non mi è dato sapere» ammetterà nel 2010 Renato Pent, ad della Jelly Wax, davanti alla Commissione parlamentare sui rifiuti. Ma a bordo forse non c’erano 'solo' scarti chimici. Da un’altra nota riservata del Sismi datata 5 dicembre 1989 emerge un retroscena inquietante. Secondo l’informatore Fallaha Abdulsalam «la presenza di scorie radioattive a bordo della motonave siriana Zanoobia era stata originalmente rilevata da un’unità della Marina militare sovietica, che incrociava nel mare antistante i porti di Latakia e Tartous». I sensori impazziscono, scatta l’allarme perché «la radioattività rilevata era stata inizialmente attribuita ad attività offensiva israeliana». La tensione sale, nel Mediterraneo si rischia l’escalation militare. Poi i russi capiscono che si tratta della Zanoobia. Per il Sismi, l’attendibilità di Fallaha è «non valutabile». C’è da sperare che si sia inventato tutto.

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