venerdì 11 settembre 2020
Ipotesi di quarantena ridotta a 10 giorni, nuovi contagi, posti negli ospedali, ritorno (a ostacoli) a scuola

Non ci sono manuali per la convivenza col Covid, ma molto del nuovo virus arrivato dalla Cina all’inizio dell’anno l’abbiamo imparato. E oggi, pur coi suoi quasi 1.600 casi in un giorno (a fronte di oltre 94mila tamponi e per quasi il 90% asintomatici), l’Italia è un altro Paese rispetto ad allora. Prova ne sia la “pagella” pubblicata ieri dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (l’Ecdc): nella mappa della diffusione del coronavirus in Europa il nostro Paese, con un’incidenza di 32 contagi per centomila abitanti in 14 giorni, è in coda rispetto a tutti gli altri. In cima alla classifica c’è la Spagna, con 263,2 casi per 100mila abitanti, seguita da Francia (135,1), Croazia (91,7), Romania (85,8), Repubblica Ceca (75,9), Malta (74,6), Austria (55,9), Olanda (55,4), Portogallo (51,3), Gran Bretagna (39,6). Meglio di noi fa solo la Germania, con 21 casi per 100.000 abitanti: un traguardo, per altro, raggiunto da appena un paio di settimane.

È il segno che più di qualcosa, in Italia, sta funzionando: lo sforzo per aumentare la macchina dei tamponi (quasi triplicati in un mese), la rivoluzione degli ospedali (attrezzati per gestire i pazienti positivi), l’uso massiccio delle mascherine (che da lunedì faranno anche il loro ingresso nelle scuole). Ora il ministero della Salute sta valutando l’ipotesi di ridurre la quarantena a 10 giorni: vincere la sfida col virus nei prossimi mesi si può e si deve.


​Contagi: se torneranno a salire, si dovrà chiudere il Paese?

Il numero di nuovi contagi resta decisivo. Ma se il Bollettino è una bussola per le autorità sanitarie e per il governo, va anche letto nella sua complessità, tenendo sempre presente che una situazione epidemiologica andrebbe confrontata sulla base di dati quindicinali (non quotidiani) e posta all’interno del quadro di ritorno alla normalità del Paese, con le attività, i trasporti e la scuola a pieno regime.

Nel lockdown, quando tutto era fermo (e su 30mila tamponi medi e picchi anche di 4mila casi in 24 ore il 50% dei positivi risultavano sintomatici), l’obiettivo era arginare l’emorragia di malati. È stato raggiunto.

Nei prossimi mesi servirà tenere sotto controllo i nuovi contagi, come si sta già facendo, individuando e arginando subito i focolai a livello locale. Una nuova chiusura generale è esclusa.

​Cure: arriverà prima un vaccino o un farmaco anti-Covid?

Reuters

Sul fronte della risposta scientifica al Covid, il quadro resta incerto. Sappiamo, cioè, che nei laboratori di tutto il mondo (e l’Italia è in prima linea) si stanno studiando e sperimentando candidati vaccini e farmaci per vincere la sfida col virus, ma resta impossibile prevedere quando uno di essi risulterà davvero efficace.

Proprio due giorni fa, quando è trapelata la notizia dello stop al promettente vaccino di Oxford, il mondo ha dovuto fare i conti con i tempi necessari alla ricerca. Che sono lunghi. Dei 176 vaccini al momento allo studio, tanto per intenderci, appena 8 sono arrivati alla fase 3 della sperimentazione.

Quanto a farmaci e cure, sono migliaia quelle in fase di trial, a cominciare dai promettenti anticorpi monoclonali. Ma in nessun caso si prevede una svolta prima di un anno.

​Ospedali: con quanti nuovi ricoveri il sistema può andare in tilt?

Gli ospedali italiani sono usciti stravolti dal picco dell’epidemia italiana di coronavirus, e non solo per il carico di malati e di vittime che hanno dovuto gestire. Interi reparti sono stati riorganizzati, con triage e protocolli appositi volti ad azzerare il rischio che i pazienti positivi possano contagiare gli altri, come avvenuto tra marzo e aprile. I dispositivi di protezione sono presenti e reperibili ovunque.

Il numero delle terapie intensive (l’anello debole, abbiamo scoperto a caro prezzo, del nostro sistema) è stato quasi raddoppiato, passando da 5mila a quasi 9mila posti e il governo ha già predisposto la realizzazione di 4 strutture mobili da 75 rianimazioni da installare nelle aree che si trovino in emergenza. A oggi i ricoverati in questi reparti sono 164: la soglia di allerta è fissata a 4.500 (cioè al 50% dei posti occupati).

Influenza: come sarà possibile distinguerla dal virus?

Vaccino antinfluenzale e raccordo costante con il medico di base: ecco la ricetta per arginare il più possibile il rischio (concreto) di confondere i sintomi dell’influenza stagionale con quelli del Covid. Sul primo la sfida è quella della distribuzione: quest’anno, a fronte dell’usuale fabbisogno di circa 10 milioni di dosi, gli esperti prevedono che ne vadano procurate almeno 25 milioni, da destinare prioritariamente ad anziani, fragili, bambini. Al momento ne sarrebbero disponibili il 60%, quando nei piani del governo i tempi di somministrazione dovrebbero essere anticipati già ad ottobre.

Quanto alla sanità territoriale, i medici di famiglia giocheranno un ruolo chiave nell'intervenire tempestivamente coi propri pazienti che presentino sintomi: il ministero della Salute sta lavorando perché al più presto possano effettuare anche i tamponi.

​Scuole: i focolai negli istituti devono preoccuparci?

Fotogramma

Gli esperti sono concordi: di contagi e focolai, nelle scuole d’Italia, se ne conteranno eccome nel corso dei prossimi mesi. E non pochi, osservando quello che sta accadendo nei Paesi che hanno riaperto le aule prima di noi. Il sistema, però, s’è preparato. Non solo grazie al distanziamento e alle mascherine. I controlli e le procedure rigorose raccomandate dal Comitato tecnico scientifico e adottate dal ministero permettono di individuare i casi positivi (o i sospetti positivi), testarli e procedere all’isolamento delle classi coinvolte, che nelle strutture non si mescolano – o non dovrebbero mai mescolarsi – le une con le altre.

I dati scientifici, poi, sono confortanti: tra i bambini di asilo ed elementari il rischio di contagio è molto basso e dove le scuole hanno riaperto non si sono osservate impennate nella curva epidemica.

Quarantena: abbreviarne la durata non è rischioso?

Il punto è delicatissimo, specie nella fase di aumento dei casi (pur contenuto) che ha fatto seguito alle vacanze estive e con la riapertura delle scuole alle porte. Ma la scienza offre dati incontrovertibili: la maggior parte delle persone si ammala dopo 5/6 giorni dal contatto con la persona infetta, quindi ragionare sulla possibilità di ridurre il periodo di quarantena oggi sarebbe possibile, pur con qualche rischio. Di quanto? Attualmente il periodo di isolamento è fissato a 14 giorni, la Francia questa settimana ha deciso di dimezzarlo. Secondo l’Oms la decisione è avventata (Oltralpe, per altro, ieri s’è registrato il record di quasi 10mila contagi in un giorno).

Il Comitato tecnico scientifico italiano starebbe valutando di fermarsi a 10: la decisione sarà presa in esame la settimana prossima.

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