venerdì 6 marzo 2020
Il virologo Crisanti spiega l’indagine pronta a partire in Veneto: in 3 giorni tamponi su tutta la popolazione del focolaio. «Dal confronto scopriremo come si comporta il virus»
Il virologo Andrea Crisanti

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Andrea Crisanti lo diceva dall’inizio, e dall’inizio veniva criticato per il suo eccesso di zelo: «Tampone per tutti quelli che rientrano dalla Cina». Di test sul Covid-19, d’altronde, l’immunologo veneto se ne intende visto che ai primi di febbraio – ben prima che l’epidemia esplodesse nel nostro Paese – nel laboratorio di Microbiologia e virologia dell’Università di Padova ne ha messo a punto una tipologia capace di dare un risultato in appena tre ore. Lo stesso tampone utilizzato poi per monitorare – in tempi record – l’emergenza regionale dopo la scoperta del focolaio di Vo’. Ieri, assieme al presidente della Regione Luca Zaia, Crisanti ha presentato uno studio che, nel giro di 15 giorni, potrebbe offrire risposte decisive sull’emergenza coronavirus in Italie e su come affrontarla.

Professore, di cosa si tratta?
Nel giro di 48 ore dal primo caso di Covid-19 registrato nel focolaio di Vo’ abbiamo effettuato tamponi a tappeto su tutta la popolazione di quel Comune, circa 3.300 persone. Registrando, vale la pena ricordarlo, il 3% circa di casi positivi. Di quella comunità, diventata poi zona rossa e quindi isolata dal resto del territorio, nel corso delle ultime due settimane abbiamo conosciuto tutto: sintomatologia, evolversi della malattia, espansione del virus. Quello che abbiamo deciso di fare è effettuare un secondo tampone su tutta la popolazione, nei prossimi tre giorni, così da poter fotografare l’evolversi della situazione a distanza.

Che cosa comporta questo secondo test?
È l’indagine epidemiologica perfetta. Quello di Vo’ sarà uno studio unico nel suo genere mai fatto prima, nemmeno in Cina. Scattiamo, in sostanza, una seconda fotografia di una comunità-focolaio al termine del periodo di quarantena e possiamo confrontarla con la fotografia iniziale. Questo ci permette di dare a questo virus dei parametri numerici, una metrica. Sono decisive le risposte che potremo avere e offrire alla comunità scientifica: come, per esempio, il virus ha agito a seconda delle classi di età, chi ha contribuito a diffonderlo maggiormente e chi meno, come si sono intrecciate le vie del contagio, chi e in quanto tempo si è negativizzato, che caratteristiche fisiche hanno le persone che hanno mostrato sintomi più o meno seri. Questi dati saranno utili immediatamente alle nostre autorità sanitarie per capire, per esempio, l’efficacia delle misure di contenimento che sono state messe in atto fin qui, per valutare il periodo di incubazione e di quarantena, per decidere come debba essere articolato il cosiddetto isolamento domiciliare.

Insomma, se ha senso chiudere una Regione o no...
Esattamente. Ma anche di conoscere le capacità riproduttive del virus, la contagiosità dei soggetti asintomatici, un punto ancora poco chiaro e tuttavia determinante. In questo modo potremo dare alla Regione – e al Paese – dei parametri medici per prendere decisioni. Potranno, cioè, essere prese delle decisione sulla base dei dati e non delle impressioni.

Si è sbagliato qualcosa, secondo lei, dall’inizio dell’epidemia italiana di coronavirus?
All’inizio ne è stata sottovalutata la gravità, a mio parere. Tuttavia il provvedimento del Consiglio dei ministri di mercoledì è sicuramente un passo avanti. Per la prima volta il governo ha preso atto della situazione e ha comunicato ai cittadini la vera entità del problema. Il provvedimento si sarebbe dovuto prendere due settimane fa, subito. Siamo di fronte a una cosa senza precedenti, che richiede misure senza precedenti.

Com’è nata l’idea di questo progetto?
Ne ho parlato direttamente col governatore Zaia, a cui avevo fatto una telefonata per fare il punto sulla questione dei tamponi.

Un’altra questione, quella dei tamponi, che ha diviso le Regioni dal governo. È stato detto che inizialmente ne sono stati fatti troppi, che potevano esserci dei falsi positivi...
E come avevo già precisato, nel caso del Veneto non è stato affatto così. Ognuna delle migliaia di tamponi che abbiamo processato giorno e notte, dall’inizio dell’epidemia, è arrivata da un ospedale per una ragione sanitaria precisa: è stato fatto, cioè, a persone che si sono presentate in ospedale con sintomi. Quanto al nostro test, la sua affidabilità è estrema: fino a questo momento tutti gli esami dei tamponi effettuati in Veneto, circa 15mila, sono stati validati dalla struttura nazionale.

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