giovedì 22 maggio 2025
Ribadito il divieto di accedere alla procreazione assistita per le donne sole, ma per i figli nati con Pma all'estero sì al riconoscimento di due madri. «Così si nega ai bambini il diritto a un padre»
Glenda Giovannardi e Isabella Passaglia, al centro del caso su cui si è espressa la Consulta

Glenda Giovannardi e Isabella Passaglia, al centro del caso su cui si è espressa la Consulta - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Sì al riconoscimento automatico della “madre intenzionale” di un bambino nato in Italia da una coppia di donne che ha eseguito all’estero la procreazione medicalmente assistita (Pma); no al diritto della donna sola ad avere un figlio con la Pma in Italia. Sono gli esiti di due sentenze della Corte costituzionale che intervengono su alcune norme della legge 40/2004 sulla Pma. La prima sentenza (68/2025, redattore Filippo Patroni Griffi) intende tutelare i diritti del nato dai possibili cambiamenti di opinione delle “madri intenzionali” rispetto all’intraprendere un percorso di adozione speciale (secondo la legge 184/1983) e dai possibili comportamenti differenti degli ufficiali di stato civile e dei pubblici ministeri in ordine alla trascrizione degli atti di nascita. La seconda sentenza (69/2025, redattrice Emanuela Navarretta) precisa che «la scelta del legislatore di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, implica l’esclusione della figura del padre è tuttora riconducibile al principio di precauzione nell’interesse dei futuri nati».

La sentenza 68/2025 risponde a una questione sollevata dal tribunale di Lucca circa gli articoli 8 e 9 della legge 40 e 250 del Codice civile. L’articolo 8 della legge 40 stabilisce che «i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di Pma hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6» (sul consenso informato che la coppia deve prestare, consapevole dell’iter che la attende, – compresi gli effetti collaterali sanitari e psicologici –, dei costi, della irrevocabilità della volontà di generare figli dopo la fecondazione dell’ovulo). L’articolo 9 della legge 40 vieta il disconoscimento di paternità e anonimato della madre una volta che gli aspiranti genitori hanno prestato il consenso alle tecniche di Pma. L’articolo 250 del Codice civile regola il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio.

All’articolo 8 la Consulta “aggiunge” una fattispecie: stabilisce che è “costituzionalmente illegittimo” non prevedere che il figlio nato in Italia da una donna che ha fatto ricorso all’estero a tecniche di Pma (in osservanza delle norme ivi vigenti) ottenga subito lo stato di figlio anche dell’altra donna (“madre intenzionale”) che ha espresso il consenso al ricorso alla Pma e all’assunzione di responsabilità genitoriale. La Corte costituzionale precisa che la questione non attiene alle condizioni per accedere alla Pma in Italia, che prevedono che le coppie siano di sesso diverso (articolo 5 della legge 40).

La Corte ha ritenuto che impedire al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche dalla “madre intenzionale” «non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione» degli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.
Nelle considerazioni in diritto, la Corte chiarisce che l’obiettivo è la tutela del miglior interesse del minore dal rischio che – nelle more dell’iter dell’adozione in casi particolari (stabilita dalla legge 184/1983) che può essere intrapreso dalla “madre intenzionale” – possano intervenire vicende della coppia o mutamenti della volontà proprio della “madre intenzionale”. Se quest’ultima si sottraesse all’impegno sottoscritto al momento dell’avvio del processo di Pma, il minore nato rimarrebbe privo della seconda figura genitoriale.

Il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso durante la conferenza stampa al termine della riunione straordinaria della Corte Costituzionale, sull'attivitàˆsvolta nell'anno 2024, Roma, 11 aprile 2025

Il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso durante la conferenza stampa al termine della riunione straordinaria della Corte Costituzionale, sull'attivitàˆsvolta nell'anno 2024, Roma, 11 aprile 2025 - Ansa

La sentenza 69/2025 si riferisce al succitato articolo 5 della legge 40, verso il quale ha sollevato giudizio di legittimità costituzionale il tribunale di Firenze. La Corte ha stabilito che «nell’attuale assetto normativo, non consentire alla donna di accedere da sola alla Pma – riferisce il comunicato stampa della Consulta – rinviene tuttora una giustificazione nel principio di precauzione a tutela dei futuri nati. È, infatti, nel loro interesse che il legislatore ha ritenuto “di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, esclude la figura del padre”».

La Consulta aggiunge che «la compressione dell’autodeterminazione procreativa della donna singola non può, nell’attuale complessivo quadro normativo, ritenersi manifestamente irragionevole e sproporzionata». E rientra nella discrezionalità del legislatore aver ravvisato le finalità della legge 40 nel «favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana». La Corte però ha anche riconosciuto «l’assenza di impedimenti costituzionali a ché il legislatore estenda l’accesso alla Pma anche a nuclei familiari diversi da quelli indicati nell’articolo 5 della legge 40».

Le reazioni: «Si toglie il diritto dei bambini a padre e madre»

«L’interesse del bambino a vedersi riconosciute due figure genitoriali viene sancito, nella sentenza sulle “due mamme”, prescindendo completamente dai fondamenti biologici della riproduzione e della generazione, come se l’estromissione e la cancellazione programmata della figura del padre non fosse a sua volta un disvalore e una scelta contraria al miglior interesse del minore». È severo il giudizio della ministra della Famiglia Eugenia Roccella sulla sentenza – tra le due consecutive che la Corte costituzionale ha pubblicato in materia di procreazione medicalmente assistita – che prende in esame il caso dei due figli di una coppia di donne, la madre biologica e la sua compagna. «In Italia – aggiunge Eugenia Roccella – nessun bambino ha una limitazione di diritti, perché anche in caso di coppie dello stesso sesso c’è l’adozione in casi particolari che garantisce il rapporto del minore con entrambi, la responsabilità di entrambi nei suoi confronti e l’inserimento in una rete di parentela anche sotto il profilo patrimoniale. Cancellare per scelta dalla vita dei bambini il papà o la mamma, che nessuna tecnica riproduttiva potrà mai eliminare, resta un mutamento antropologico che non potremo mai considerare un progresso sulla via dei diritti, ma la sottrazione al bambino di uno dei suoi diritti fondamentali».

Invitando a considerare, in premessa, evidente «la complessità della tematica che riguarda l’uso della tecnologia nella procreazione umana», il giurista Alberto Gambino, presidente del Centro Studi Scienza & Vita (che come Associazione 20 anni fa fu protagonista dell’impegno per “salvare” la legge 40 dall’attacco dei referendum poi falliti), sottolinea «il rischio, anche al di là del caso singolo» che consiste nella «lesione della dignità del nascere umano» e nella «reificazione del bambino, divenuto il mero prodotto di un progetto: il suo interesse non è poi così importante, non è poi così “tiranno”», dice Gambino citando un’espressione della Consulta, «rispetto alla volontà che si manifesta nel “progetto” di genitorialità all’estero. Il dubbio che lascia la questione è in parte relativo a quello che potremmo definire “il soggetto assente”, il donatore maschile: è possibile parlare di “identità personale” escludendo del tutto il dato biologico a favore della volontà?». Con un verdetto come quello della Corte si apre alla possibilità di «spingersi nel terreno della mera artificialità e della intenzionalità a discapito della tutela del nato». Risalta, alla luce di questa considerazione, la distanza rispetto alla sentenza sulla “madre single”: un caso in cui la Corte costituzionale, rileva Gambino, «riconosce e rispetta la discrezionalità del legislatore, il quale, come afferma la Consulta, “ha cercato di non creare una distanza eccessiva rispetto al modello della generazione naturale della vita”, tentando di “proteggere a priori l’interesse dei futuri nati”. Non ha, pertanto, consentito “l’esclusione della figura del padre”, una scelta “riconducibile al principio di precauzione nell’interesse dei futuri nati”». Non sfugge l’incoerenza tra i due verdetti.

Di «svolta pericolosa e profondamente problematica per l’ordinamento giuridico e per la società» parla un altro giurista, Domenico Menorello, portavoce del network di associazioni cattoliche “Ditelo sui tetti” e componente del Comitato nazionale per la Bioetica: «Con questa decisione – aggiunge – si apre la porta a un modello antropologico radicale e ideologico, in cui la sola volontà individuale assurge a fonte esclusiva delle relazioni familiari e dell’identità personale», affermando che «l’intenzione, slegata da ogni realtà biologica, sociale o relazionale, possa fondare uno status giuridico così profondo come quello di genitore». Non condivide «in nessun modo la sentenza», pur «rispettandola», la senatrice di “Noi Moderati”, Mariastella Gelmini, «perché escludere dalla vita di un minore la figura del padre è una scelta contro natura, per nulla rispettosa della figura genitoriale e nemmeno dell’interesse del minore».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: