venerdì 17 agosto 2018
Sembra forte, ma è fragile e non dura nel tempo senza continue revisioni. È il momento di effettuare verifiche su tante strutture e fare scelte precise
Cemento armato ferito dal tempo

Cemento armato ferito dal tempo

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Auspicabilmente la tragedia del viadotto di Genova metterà la parola fine all’ubriacatura del cemento armato. Agonizzava da tempo. Non tanto per difetti suoi, ma per gli usi eccessivi in cui è stato impropriamente impegnato. Il cemento è usato sin dall’antichità. Un po’ come una pietra artificiale, resiste bene alle compressioni, non alle trazioni; se usato per pilastri regge bene i pesi che poggiano verticalmente, ma se subisce scosse laterali, come quelle dovute a eventi sismici, si rompe con relativa facilità. Ecco che, se all’interno dei pilastri di cemento sono inserite barre di acciaio, materiale che resiste bene alle trazioni, la struttura mantiene la sua coesione, non si sfascia. Per lo stesso motivo sarebbe impensabile costruire una trave in solo conglomerato cementizio: non reggerebbe. Mentre una trave in cemento armato resiste bene.

Il ponte autostradale di Genova è stato costruito in cemento armato e con la tecnica degli stralli, ovvero dei sostegni che collegano l’impalcato della strada ai pilastri. Gli stralli svolgono una funzione simile a quella delle catenarie nei ponti sospesi di acciaio, come il Giovanni da Verazzano che unisce Staten Island a Brooklyn e che, costruito nel 1964 (coevo col ponte di Genova, che fu completato nel 1967) e con la sua campata libera di circa 1.300 metri per diciassette anni ha mantenuto il record del ponte sospeso più lungo del mondo.

Qual era la necessità di realizzare stralli in cemento armato a Genova? Gli stralli agiscono prevalentemente in tensione. Per cui il cemento degli stralli è un peso inutile, anzi un elemento che aggiunge rigidità a un tipo di struttura che dovrebbe di per sé essere particolarmente elastica: la giustificazione è che, coprendo l’acciaio, lo proteggeva. Perché il problema maggiore del cemento armato deriva dal rischio di ossidazione dei ferri, se raggiunti dall’umidità a causa della porosità del materiale o a seguito di crepe che si possono aprire. Ma gli stralli devono essere elastici, come l’acciaio, non rigidi, come il cemento. Chi sa quante crepe si saranno aperte negli stralli e nei piloni del viadotto genovese? Quanta umidità sarà penetrata nelle sue masse cementizie intaccando i ferri? Più volte, si legge sui giornali dopo il crollo, si erano verificati movimenti dell’impalcato. E quando ci sono questi aggiustamenti nelle strutture in cemento, sono sempre accompagnati da fessurazioni, piccole o grandi e da lì l’umidità penetra e attacca i ferri riducendone la capacità di resistere alle trazioni.

I ponti sospesi in acciaio richiedono continua manutenzione: bisogna pitturarli e ripitturarli con vernici protettive per difenderli dai fenomeni meteorici. Ma lo stesso va fatto con le superfici del cemento armato, per gli stessi motivi. Basta che in pochi punti tali opere manutentive non siano state adeguate, per permettere all’umidità di attaccare la struttura. Il cemento armato sembra forte, ma è fragile e, se non costantemente oggetto di revisioni, non dura nel tempo.

Pochi anni orsono vi sono stati altri tragici esempi dei limiti del cemento armato: esso è stato usato sino anche per realizzare cerchiature volte a evitare crepe e spanciature dei tamburi delle cupole storiche. Sembrava che in questo modo le strutture sarebbero state protette dalle sollecitazioni dovute ai movimenti sismici. Il terremoto dell’Aquila del 2009 ha messo in risalto come proprio tali cerchiature realizzate pochi decenni prima abbiano invece massimizzato i danni. Perché il cemento è pesante e tanto maggiore peso si aggiunge ai livelli alti di una struttura, tanto più aumentano gli effetti delle vibrazioni del terreno: è intuitivo, basta considerare come si comporta un’asta se viene scossa. Oscilla, ma incollate sulla cima di quell’asta un peso e vedrete che le oscillazioni saranno ampliate.

E come all’Aquila le cerchiature in cemento hanno aumentato le sollecitazioni orizzontali del sisma, non sarà pure successo nel viadotto genovese, che le spinte del vento e delle acque del torrente si siano poi tradotte in maggiori sollecitazioni orizzontali a seguito del peso degli stralli in cemento?

Altro è usare il cemento armato per strutture verticali atte a resistere in prevalenza a compressioni. Altro farne un materiale tuttofare. Il viadotto di Genova appariva strano, aveva un che di assurdo con quei grossi stralli in cemento: un materiale estraneo a quell’uso, tanto quanto estraneo era alle cerchiature per le cupole dell’Aquila. Per quelle funzioni avrebbe avuto senso usare solo l’acciaio, elastico e relativamente leggero, senza il cemento. Ma nel periodo del secondo dopoguerra il cemento l’ha fatta da padrone, sembrava fosse adatto a ogni uso. Perché sia stato così, è un mistero. A volere avventurarsi sul terreno della dietrologia si potrebbe immaginare che si volessero favorire i cementifici italiani. Di certo c’è che ne paghiamo le conseguenze. Non c’è un materiale adatto a ogni uso. L’ingegner Riccardo Morandi che progettò il viadotto genovese era un eccellente strutturista. Ma altro è fare i calcoli giusti per far stare in piedi una struttura, altro è garantire che questa duri nel tempo.

A Segovia, in Spagna c’è un altissimo acquedotto romano realizzato tra I e II secolo d.C. È tutto in pietra e non vi sono leganti tra un blocco e l’altro: la struttura si regge grazie alla forza della gravità per cui le pietre restano ben collegate tra loro, e grazie alla forma ad arco che distribuisce sul piano orizzontale le spinte verticali. Gli antichi romani non pretendevano di inventare e propagandare materiali nuovi cui far compiere meraviglie.

Ci saranno altri crolli, perché nel corso degli ultimi sessant’anni son state costruite troppe strutture con materiali impropri, che richiederebbero troppi investimenti per essere mantenute. Forse sarebbe meglio pensare di analizzarle tutte nel dettaglio e decidere di sostituire quelle che sono a rischio.

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