sabato 28 maggio 2022
Il direttore della Clinica di malattia infettive del Policlinico Gemelli: rispetto al Covid, abbiamo già i vaccini e qualche farmaco. In più si tratta di un virus a Dna, non dobbiamo temere varianti
Cauda: «Il vaiolo delle scimmie? È un virus conosciuto, zero allarmi»
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Prudenza e niente allarmismi. È questa la linea tracciata dalle autorità sanitarie e dai medici verso il crescere dei casi di vaiolo delle scimmie segnalati ormai in tutta Europa, Italia compresa. Anche se la malattia, forse perché il nome evoca contagi d’altri tempi, o perché il virus compare dopo due anni di pandemia, sollecita nei cittadini preoccupazioni, che tutte le autorità sanitarie – nazionali, europee e mondiali – suggeriscono di non trasformare in panico.

«Una situazione del tutto diversa, imparagonabile a quella che abbiamo vissuto con il Covid», osserva il ministro della Salute, Roberto Speranza. E il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, riferisce che in Italia sono presenti 5 milioni di dosi di vaccino anti vaiolo. Trecento i casi accertati in oltre 20 Paesi, segnalava ieri Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, aggiungendo che «arriveremo a migliaia di casi».

Dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la direttrice dell’Emergency Preparadness, Sylvie Briand, avverte: «Il primo caso è stato notificato solo il 7 maggio, sappiamo che avremo più casi nei giorni a venire. Siamo veramente all’inizio. Non sappiamo se stiamo solo vedendo la punta dell'iceberg».

Da parte sua l’Unione Europea si prepara ad acquistare – secondo i media belgi – 50mila dosi di vaccini. «Non mi sento di fare previsioni: il contagio va contenuto e i contatti tracciati – osserva Roberto Cauda, direttore della Clinica di malattie infettive dell’Irccs Policlinico A. Gemelli di Roma, nonché docente di Malattie infettive all’Università Cattolica –. Ma non dobbiamo cadere nel panico. Rispetto al Covid-19, il virus è noto, abbiamo già i vaccini e qualche farmaco. In più si tratta di un virus a Dna, sostanzialmente stabile, a differenza del Sars-CoV-2, che muta con una certa frequenza».

Professor Cauda, che malattia è il vaiolo delle scimmie?

Del vaiolo "umano" ci eravamo dimenticati perché è stato eradicato grazie alla vaccinazione sin dal 1979. In Italia la vaccinazione è stata sospesa nel 1981. Quello di cui parliamo è un vaiolo isolato in Africa nel 1958 nelle scimmie, e poi anche in alcuni roditori. È sempre stata considerata una malattia degli animali fino al 1970, quando – sempre in Africa – il virus è stato isolato anche nell’uomo. Ha una parentela con il vaiolo "umano", ma presenta solitamente forme meno gravi per l’uomo e il contagio è meno facile.

Come si trasmette?

Per contatto diretto, attraverso saliva e altri fluidi; non è stato provata la trasmissione sessuale. Il contatto deve essere prolungato, anche per via aerea, attraverso le goccioline (droplet) come per il Covid-19. Fortunatamente si tratta di un virus a Dna, quindi meno capace dei mutare rispetto quelli a Rna, come il Sars-CoV-2. Una stabilità che pare confermata in quest’ultimo focolaio avviatosi in Europa, prima nella penisola iberica e nel Regno Unito, e ora allargato ad altri Paesi, tra cui l’Italia. Si tratta dello stesso virus che circola nell’Africa occidentale, e non di quello che si trova in Congo, che provoca una patologia più severa.

Come si manifesta la malattia e come si cura?

Ha un’incubazione di 10-12 giorni, ma si arriva fino a 21. I sintomi sono quelli di una sindrome simil-influenzale, con mal di testa, febbre, spossatezza, dolori muscolari, linfonodi palpabili. A facilitare la diagnosi sono le eruzioni cutanee, vescicole e pustole come il vaiolo o la varicella. Ma non raggiunge la mortalità del vaiolo (30%), né lascia cicatrici deturpanti. Il più delle volte guarisce in due-tre settimane, e sono utilizzabili tre farmaci antivirali (tecovirimat, cidofovir, brincidofovir). In più esistono due vaccini contro il vaiolo (uno prodotto in Olanda, l’altro negli Stati Uniti), sviluppati in anni recenti dopo il 2001, quando era alto il timore di bioterrorismo. Non sono registrati per quello delle scimmie, ma sono più efficaci di quello usato fino al 1981, che era ancora simile a quello di Edward Jenner.

Si prefigura una vaccinazione su larga scala?

Per ora, direi di no. I nati prima del 1981 sono protetti dalla vaccinazione ricevuta da bambini. Inoltre i focolai – sorti negli ultimi decenni in Africa orientale – tendono a esaurirsi, non hanno mai costituito una criticità. Finora gli organismi sanitari internazionali non credono necessaria una vaccinazione capillare. Si può pensare a quella degli operatori sanitari, o dei contatti stretti di un malato. Certamente si devono contenere i focolai, tracciando i contatti e isolando i malati. Non credo, oggi, che sia necessaria una quarantena dei contatti, ma è bene essere prudenti.

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