sabato 12 gennaio 2013
Respinto il ricorso di un immigrato musulmano che chiedeva l'affidamento del figlio. Secondo i giudici sarebbe un mero pregiudizio che vivere con una coppia omosessuale sia dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino. Sconcerto dopo la decisione.
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Il vero pregiudizio​ di Carlo Cardia​​​
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Cosa augurare a questo bambino? Di restare a vivere con la mamma e con la compagna della mamma – così come ha stabilito la Corte di Cassazione – o di venir affidato al papà violento che se n’è andato quando il figlio aveva dieci mesi, rinunciando a vederlo e a educarlo? I supremi giudici – presidente Maria Gabriella Luccioli – hanno sentenziato in merito respingendo il ricorso del un padre naturale che si era visto privare dell’affido condiviso del figlio per le violenze cui il bambino aveva assistito, e confermato che il piccolo debba essere allevato dalla mamma e dalla convivente di lei. Una scelta, si potrebbe sintetizzare, a favore del male minore e non una sentenza ideologica che «apre» alla possibilità di adozione da parte delle coppie gay. Anche perché i giudici, forse per evitare che le loro parole si trasformassero, come si dice, in “giurisprudenza”, si sono limitati a un accenno fuggevole in riferimento al caso specifico e non teorizzano in alcun modo la necessità di legiferare a favore dell’adozione da parte delle coppie omosessuali. Del tutto fuori strada quindi i commenti di chi ha subito colto l’occasione per gridare alla “modernità” e alla “lungimiranza” dei supremi giudici. Il punto di vista della Cassazione sulla possibilità per una coppia omosessuale di crescere un figlio è contenuto nella sentenza numero 601, depositata ieri. Un immigrato musulmano si è rivolto al tribunale contestando la decisione della Corte di Appello di Brescia – la città dove l’uomo risiede – del 26 luglio 2011 che aveva affidato in via esclusiva il minore alla sua ex compagna. L’immigrato faceva presente che dopo la fine della loro storia la sua ex era andata a vivere con una donna, un’assistente sociale della comunità per tossicodipendenti dove la madre del bambino conteso aveva trascorso un lungo periodo per disintossicarsi. Secondo la difesa dell’uomo, il Tribunale di Brescia non avrebbe approfondito, come richiesto dal servizio sociale, se la famiglia in cui è stato inserito il minore, composta da due donne legate da una relazione omosessuale, fosse idonea sotto il profilo educativo a garantire l’equilibrato sviluppo del bambino. E ricordavano il «diritto fondamentale del minore di essere educato secondo i principi educativi e religiosi di entrambi i genitori. Fatto questo che non poteva prescindere dal contesto religioso e culturale del padre, di religione musulmana».Ma Cassazione ha reso definitivo il verdetto, confermando l’affido esclusivo alla madre e spiegando, tra l’altro, che il pregiudizio per il bambino di essere cresciuto ed educato da due donne non è in re ipsa (cioè non vale di per se stesso) ma va provato. «Non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza – scrive la Cassazione –  bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata».La Corte Suprema ha anche ricordato all’uomo che lui stesso si era allontanato dal figlio quando aveva appena dieci mesi «sottraendosi – si legge nella sentenza – anche agli incontri protetti e assumendo, quindi, un comportamento non improntato a volontà di recupero delle funzioni genitoriali e poco coerente con la stessa richiesta di affidamento condiviso e di frequentazione libera del bambino». Secondo i supremi giudici, quindi, la Corte d’Appello di Brescia ha correttamente e ampiamente motivato sulla «ostatività del comportamento dell’uomo (aggressione della convivente della sua ex madre del minore, e diserzione delle visite al bambino) all’affidamento congiunto».
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