lunedì 15 maggio 2017
Secondo i giudici la società multietnica «è una necessità», ma «non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante»
(Foto d'archivio)

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Le persone migranti che hanno scelto di vivere nel mondo occidentale hanno «l'obbligo di conformarsi ai valori della società nella quale hanno deciso di stabilirsi». Lo ha sottolineato la Corte di Cassazione condannando un indiano sikh che voleva circolare con un coltello sacro, seguendo i precetti della propria religione.

Per la Suprema Corte «non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori porti alla violazione cosciente di quelli del Paese ospitante». «In una società multietnica, - si legge nel verdetto della Corte di Cassazione - la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l'identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l'integrazione non impone l'abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell'art. 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante».

Con questa sentenza, i supremi giudici hanno respinto il ricorso di un indiano sikh condannato a duemila euro di ammenda dal Tribunale di Mantova, nel 2015, perché il sei marzo del 2013 era stato sorpreso a Goito (Mantova), dove c'è una grande comunità sikh, mentre usciva di casa armato di un coltello lungo quasi venti centimetri.

L'indiano aveva sostenuto che il coltello (kirpan), come il turbante "era un simbolo della religione" e portarli addosso "costituiva adempimento del dovere religioso". Per questo aveva chiesto alla Cassazione di non essere multato, e la sua richiesta era stata condivisa dalla Procura della Suprema Corte che, evidentemente ritenendo tale comportamento giustificato dalla diversità culturale, aveva chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna.

Ad avviso della Prima sezione penale della Suprema Corte, invece, «è essenziale l'obbligo per l'immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all'ordinamento giuridico che la disciplina». Il verdetto aggiunge che «la decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha la consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza, ne impone il rispetto e non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante».

Monsignor Perego: «Ora la politica non strumentalizzi»

"La sentenza della Cassazione è molto equilibrata e sottolinea anche il valore della diversità e della multiculturalità e la necessità di un cammino di integrazione degli immigrati, oltre a ribadire che ciò non può prescindere dal rispetto giuridico e legale di alcune regole su cui è strutturata la nostra società, con i suoi valori". È quanto osserva monsignor Giancarlo Perego direttore di Migrantes, la fondazione della Cei che si interessa di migranti, rifugiati, profughi.

Avverte però monsignor Perego: "Ora, però, la politica non strumentalizzi la sentenza in maniera ideologica o per fini elettorali, limitandosi a leggere solo una parte del documento e non la sua totalità ed esasperando volontariamente un aspetto particolare anziché rispettarne l'impostazione complessiva che, ribadisco, è positiva". Perego sottolinea, riprendendo le parole della sentenza della Cassazione, che "il rispetto delle diversità multiculturali e multireligiose non può creare degli arcipelaghi di autonomia all'interno di un sistema giuridico complessivo, con un “far west” di comportamenti e atteggiamenti che possano anche mettere a rischio la sicurezza e il vivere sociale. È una impostazione molto corretta. Il problema - ribadisce il rappresentante della Cei - è che questa sentenza della Cassazione non venga ancora una volta utilizzata politicamente e ideologicamente".

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