giovedì 14 novembre 2019
I due carabinieri Di Bernardo e D'Alessandro sono stati condannati a 12 anni per omicidio preterintenzionale nel processo per la morte di Stefano Cucchi.
Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, con l'avvocato Fabio Anselmo (a sinistra) dopo la lettura della sentenza in Corte d'Assise nei confronti di 5 Carabinieri imputati nel processo Cucchi, Aula Bunker di Rebibbia ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, con l'avvocato Fabio Anselmo (a sinistra) dopo la lettura della sentenza in Corte d'Assise nei confronti di 5 Carabinieri imputati nel processo Cucchi, Aula Bunker di Rebibbia ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

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Dieci anni per arrivare alla verità processuale. Stefano Cucchi è stato ammazzato dalle botte di due carabinieri nella caserma della Compagnia Casilina. Per Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro la condanna in primo grado è di dodici anni per concorso in omicidio preterintenzionale e abuso di autorità, con le aggravanti dei futili motivi e dell’abuso di potere. Assolto per non avere commesso il fatto il collega Francesco Tedesco, presente al momento del pestaggio, che avrebbe cercato di fermare i due. Coimputato e poi testimone, dopo 9 anni, per togliersi un peso dalla coscienza. Commossa la sorella Ilaria Cucchi: «Oggi ho mantenuto la promessa fatta a mio fratello dieci anni quando l’ho visto morto sul tavolo dell’obitorio: "Stefano ti giuro che non finisce qua"».

La sentenza della Prima corte d’assise di Roma mette un punto – almeno fino al prevedibile processo d’appello – alla dolorosa vicenda del giovane geometra, arrestato la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 per detenzione di droga e morto in solitudine, dopo una settimana all’ospedale Pertini, senza che alla famiglia fosse permesso di incontrarlo.

Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro vengono dunque condannati a 12 anni di carcere, con una riduzione rispetto ai 18 chiesti dal pm Giovanni Musarò. Francesco Tedesco, assolto dall’accusa più grave, è condannato a 2 anni e sei mesi per falso assieme al comandante della stazione Roberto Mandolini a 3 anni e otto mesi. Prosciolto il quinto milite imputato, Vincenzo Nicolardi.

«Abbiamo affrontato tanti momenti difficili, siamo caduti e ci siamo rialzati – dice Ilaria Cucchi dopo una giornata di grande tensione – ma oggi giustizia è stata fatta e Stefano, forse, potrà riposare in pace. Ci sono voluti 10 anni e chi è stato al nostro fianco ogni giorno sa benissimo quanta strada abbiamo dovuto fare. Ringrazio tutti coloro che non ci hanno abbandonato e ci hanno creduto, assieme a noi», conclude Ilaria. Poi aggiunge: «Il nostro pensiero va al carabiniere Riccardo Casamassima, qua al nostro fianco, e alla moglie Maria Rosati, per tutto quello che stanno passando». Il procedimento contro i carabinieri condannati si è aperto proprio grazie alle rivelazioni del supertestimone Casamassima, che riferì voci nell’ambiente dell’Arma sul pestaggio.

Un momento toccante dopo la sentenza quando un carabiniere in servizio si avvicina a Ilaria e le bacia la mano: «L’ho fatto – dice visibilmente commosso – perché finalmente dopo tutti questi anni è stata fatta giustizia», dice il militare mentre accompagna mamma Rita e papà Giovanni fuori dall’aula di Rebibbia.

A nome di tutta l’Arma parla il comandante generale Giovanni Nistri: «Abbiamo manifestato in più occasioni il nostro dolore e la nostra vicinanza alla famiglia per la vicenda culminata con la morte di Stefano Cucchi. Un dolore – spiega – che oggi è ancora più intenso dopo la sentenza che definisce le responsabilità di alcuni carabinieri venuti meno al loro dovere, disattendendo i valori fondanti dell’Istituzione».

Il pm Musarò l’aveva detto da subito: «Questo non è un processo all’Arma – era stato l’esordio il giorno della requisitoria – ma contro esponenti dell’Arma che nel 2009 violarono il giuramento di fedeltà alle leggi e alla Costituzione, tradendo innanzitutto l’Istituzione di cui facevano e fanno parte». Per la procura e per la famiglia Cucchi, ha rappresentato un dato di «straordinaria importanza» la costituzione di parte civile del Comando Generale dei Carabinieri nel cosiddetto processo dei depistaggi, che entrerà nel vivo il prossimo 16 dicembre.

Per Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, «è una sentenza importante, che non ci fa gioire, così come non ci fa gioire nessuna condanna, ma che dopo dieci anni di battaglie restituisce giustizia, verità e dignità a Stefano Cucchi». All’indomani della morte del giovane «avevamo contattato la sua famiglia e, insieme a Luigi Manconi, avevamo pubblicamente chiesto chiarimenti su cosa fosse accaduto a quel ragazzo che, finito nelle mani dello Stato in buone condizioni di salute, aveva subito mostrato segni di quelle che potevano essere violenze».

Soddisfazione da Leu, M5s e +Europa. Mentre il leader della Lega Matteo Salvini, nel giorno della condanna di uomini dello Stato, parla della vittima: «Se qualcuno ha usato violenza, ha sbagliato e pagherà», ma «questo testimonia che la droga fa male sempre».

ACCUSE CADUTE IN PRESCRIZIONE PER I MEDICI DEL PERTINI

Una sola assoluzione e quattro proscioglimenti per intervenuta prescrizione. È la decisione presa ieri dai giudici della Corte d’Appello di Roma, a conclusione del processo ter al personale medico dell’ospedale Sandro Pertini che ebbe in cura - nel reparto detenuti - Stefano Cucchi, poco prima della sua morte.

La sentenza è arrivata oggi, quasi contemporaneamente a quella del procedimento, diverso ma parallelo, contro cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. E il processo ai medici del Pertini ha prescritto le accuse per il primario del Reparto di medicina protetta dell’ospedale dove fu ricoverato il geometra romano, Aldo Fierro, così come per gli altri tre medici Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo. Per Stefania Corbi, l’unica giudicata innocente, la formula di assoluzione è stata «per non aver commesso il fatto».

«Una sentenza che lascia l’amaro in bocca», dice a caldo l’avvocato Gaetano Scalise, difensore del dottor Aldo Fierro, commentando la decisione della Corte d’Assise d’appello di Roma. «Non é comprensibile dal punto di vista logico – dice il legale del primario – perché l’assoluzione della dottoressa Corbi avrebbe dovuto comportare come conseguenza anche l’assoluzione del primario. Aspettiamo di leggere le motivazioni e quasi sicuramente faremo ricorso in Cassazione», conclude il penalista. Per tutti il reato contestato era di omicidio.

Il processo ai medici dell’ospedale Sandro Pertini ha avuto un iter tortuoso. Tutti furono portati a processo inizialmente per l’accusa di abbandono d’incapace (nello stesso processo erano imputati anche tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria, assolti in via definitiva).

Condannati nel giugno 2013 per il reato di omicidio colposo, gli stessi medici furono successivamente assolti in appello. E da lì iniziò una nuova fase processuale fatta di un primo intervento della Cassazione che rimandò indietro il processo. I nuovi giudici d’Appello confermarono l’assoluzione, impugnata dalla Procura generale. La Cassazione rinviò nuovamente disponendo una nuova attività dibattimentale, conclusa oggi.

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