venerdì 26 marzo 2021
Eliminata l’accusa di "corruzione" riqualificata in "induzione indebita". Secondo il gruppo è stata «riconosciuta la non colpevolezza»
Caso Congo, Eni patteggia un risarcimento da 11 milioni
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Una sanzione di 800mila euro e un risarcimento di 11 milioni di euro. Una settimana dopo l’assoluzione per le presunte tangenti in Nigeria, Eni esce anche dal caso Congo, dopo la riqualificazione del reato, che passa da "corruzione internazionale" a "induzione indebita internazionale".

Al centro dell’inchiesta vi sono alcune licenze ottenute per pompare petrolio dai pozzi di "Marine VI e VII", nella Repubblica del Congo. Eni, secondo l’accusa, avrebbe ceduto quote di giacimenti petroliferi a una società privata congolese, riconducibile a politici di primo piano a Brazaville, al fine di ottenere il rinnovo delle licenze petrolifere.

L’indagine era nata nel giugno del 2015 da un esposto presentato da “Re:Common” insieme a “Global Witness", le organizzazioni che avevano denunciato Eni anche nel caso chiuso una settimana fa con l’assoluzione di Eni dall’accusa di aver versato mazzette a esponenti politici nigeriani. L’indagine ha dovuto scontrarsi anche con la prevedibile mancata collaborazione delle autorità del Principato di Monaco, che a due anni dalla prima richiesta non hanno ancora risposto a una rogatoria internazionale, avviata per acquisire documentazione riconducibile al ruolo di un imprenditore inglese coinvolto nella trattativa congolese.

Se Eni di fatto chiude la questione riconoscendo un risarcimento, la procura - che contestava al gruppo quotato d’avere ceduto nel 2005 quote dei giacimenti alla società privata congolese Aogc, riconducibile a Denis Gorkana (allora consigliere per l’energia del presidente Sassou Nguesso) - dal canto suo “riconosce” la pressione subita da Eni, sotto forma di una direttiva congolese che dal 2013 impone ai gruppi stranieri di coinvolgere partner locali. I pm hanno anche ritirato la richiesta di interdire Eni per due anni dal fare affari in Congo, mentre resta aperto il procedimento per gli altri indagati, i quali potrebbero seguire le orme del gruppo petrolifero e nel caso negoziare un patteggiamento.

Si tratta dell’ex capo area subsahariana di Eni, Roberto Casula (assolto una settimana fa nel caso Nigeria), Maria Paduano, considerata prestanome di Casula, gli ex dirigenti di Agip, Ernest Olufemi Akinmade (in Nigeria) e infine il presunto intermediario Alexander Haly, per il quale era stata chiesta una rogatoria a Montecarlo. Con una nota Eni ribadisce «la propria soddisfazione per la conferma da parte della Procura di Milano dell’inesistenza, anche in questo caso, di ipotesi di reato di corruzione internazionale». La compagnia non vuole che si parli di ammissione di colpevolezza ma di «iniziativa tesa esclusivamente a evitare la prosecuzione di un iter giudiziario che comporterebbe un nuovo e significativo dispendio non recuperabile di costi e risorse».

AGGiORNAMENTO DEL 29/04/2023

L'8 febbraio del 2023 è arrivata la richiesta di archiviazione del procedimento, in vista dell'imminente prescrizione, che sarebbe poi intervenuta il 18 marzo, motivata anche dalla mancata risposta alle rogatorie internazionali da parte delle autorità del Principato di Monaco. Proprio l'8 febbraio il procuratore di Milano Marcello Viola comunicava la richiesta di archiviazione per la vicenda contestata a Descalzi che "concerne gli affari intercorsi" tra Alexander Haly e la moglie dello stesso ad Marie Madeleine Ingoba. Tra le accuse ipotizzate agli altri indagati vi era la "corruzione internazionale" riqualificata in "induzione indebita".

Archiviazione-prescrizione che ha riguardato anche l'ex capo Eni dell'area subsahariana Roberto Casula (assolto pure per la vicenda nigeriana), Maria Paduano, ritenuta prestanome di Casula; Ernest Olufemi Akinmade, ex dirigente di Agip in Nigeria. A questi si aggiunge anche l'uomo d'affari e presunto intermediario Alexander Haly, Maria Magdalena Ingoba e il finanziere attivo nel settore petrolifero Gad Cohen.

Il procedimento, come si legge nella nota del procuratore, ipotizza che Eni abbia ottenuto il rinnovo di alcuni permessi di sfruttamento petrolifero nella Repubblica del Congo assicurando, in cambio, "vantaggi di natura economica a favore di pubblici ufficiali congolesi mediante la cessione di quote minoritarie (...) nei medesimi permessi di estrazione a società locali riconducibili a persone vicine ai pubblici ufficiali stessi, ossia politici e funzionari di Brazaville”. In sostanza, in base alla contestazione non più di “corruzione internazionale” ma di induzione indebita internazionale, i pubblici ufficiali dell'ex colonia francese, per concedere il rinnovo "a condizioni più vantaggiose rispetto" a quelle "originarie" delle concessioni di sfruttamento di campi petroliferi congolesi, tra cui quelli denominati “Marine VI e VII”, avrebbero costretto il management di Eni operativo nell'area a versare il “fee” richiesto, ossia l'accesso con quote azionarie alle stesse licenze alla congolese “Aogc-Africa Oil & Gas Corporation” di Denis Gokana, consigliere del presidente Sassou Nguesso.

Riguardo al filone relativo alla presunta omessa comunicazione del conflitto di interessi, accusa che non è stata provata, secondo gli inquirenti Haly e Ingoba sono stati soci della "lussemburghese Cardon Investment SA” almeno fino all'aprile 2014, "quando Haly acquistava da Ingoba la sua quota". Inoltre la moglie di Descalzi "è risultata beneficiaria", tra il novembre 2012 e il dicembre 2015, "di un conto corrente in Cipro intestato alla Cardon SA", la società lussemburghese che secondo gli inquirenti vedeva tra i soci Haly e Ingoba. Società che, sempre secondo gli investigatori, avrebbe tenuto in pancia "tutte le azioni della società Petroserve Holding BV la quale, attraverso alcune controllate, ha fornito servizi logistici e di trasporto a varie società del gruppo Eni" operative "in diversi paesi africani fino quantomeno al 2018".

Nessuna di queste accuse è però arrivata a processo. La mancata risposta alle rogatorie internazionali da parte del Principato di Monaco non ha infatti permesso di approfondire i filoni investigativi che dunque mancavano degli elementi necessari a imbastire un processo. Perciò il 18 marzo 2023 si sono perfezionati i tempi per la prescrizione.

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