martedì 5 novembre 2019
Ora i centri sono stati svuotati. L'allarme delle cooperative: «Riportiamo i richiedenti asilo, altrimenti cadranno i servizi per l'intera comunità»
Gli ospiti e gli operatori dello Sprar di Gioiosa Jonica

Gli ospiti e gli operatori dello Sprar di Gioiosa Jonica

COMMENTA E CONDIVIDI

Gli Sprar erano il fiore all’occhiello dell’accoglienza e dell’integrazione della Locride, la terra di Riace ma non solo. Ora rischiano di chiudere entro la fine dell’anno. Facendo finire per strada tanti immigrati e togliendo tanti posti di lavoro, sicuramente più di cento, soprattutto giovani, in una regione come la Calabria dove il lavoro non c’è. È l’effetto del primo 'decreto Salvini'. Ora anche qui sullo Jonio, si spera che sia modificato. E rapidamente.
Altrimenti su questa bella e efficiente esperienza sarà scritta la parola 'fine'. E non per colpe locali. È quello che raccontano alcuni responsabili delle cooperative che gestiscono i 12 Sprar (col decreto ora si chiamano Siproimi). Un viaggio tra buone prassi e forti preoccupazioni. Perché in Locride l’accoglienza inclusiva non è solo Riace ma molto di più, e si sta perdendo, anche senza indagini e processi. Una morte per soffocamento. Come a Gioiosa Jonica, dove lo Sprar per adulti gestito dall’associazione Rete dei comuni solidali (Recosol) è stato istituito per 75 persone ma attualmente ne ospita appena 27.

«Il Servizio centrale del ministero dell’Interno ci ha mandato gli ultimi nel settembre 2018. Poi più niente» denuncia il sindaco Salvatore Fuda. La causa principale è il cosiddetto decreto sicurezza che ha escluso dagli Sprar i richiedenti asilo, riservando i posti solo a chi ha ricevuto la protezione internazionale, i riconosciuti come rifugiati. Pochi, molto pochi. E qui sarebbero anche meno se non fossero arrivati 10 immigrati sgomberati dalla baraccopoli di San Ferdinando abbattuta a marzo, che qui si trovano molto bene perché si fa davvero buona accoglienza e vera integrazione. Ma ancora per quanto? «Il 30 giugno dal ministero ci hanno chiesto se vogliamo continuare. Per ora sì, ma non credo ancora per molto», si sfoga la responsabile dello Sprar, Alessia Barbiero. Perché i costi fissi come quelli degli affitti e del personale restano, non coperti dai fondi per gli ospiti.

Non va meglio a Caulonia e Benestare dove opera la cooperativa Pathos che fa parte del Consorzio Goel. Nello Sprar per adulti di Caulonia ci sono 49 persone su 75 posti. «Da maggio non arriva più nessuno. Ci dicono che non c’è nessuno da mandarci», spiega la responsabile Maria Paola Sorace che avverte: «A fine novembre resteranno solo in 25, perché gli altri avranno finito il percorso o iniziato il tirocinio formativo. Se non arriverà nessuno non ci saranno più le condizioni per andare avanti».

Ed è il rischio che corrono anche i due Sprar per minori di Benestare, sempre gestiti dalla Pathos. Ognuno ne dovrebbe ospitare 12, mentre ora ce ne sono solo 8. «C’è una situazione di grande precarietà. I progetti sono in scadenza il 31 dicembre e abbiamo dovuto mandare i preavvisi di licenziamento per 35 persone. Non si può dire che il modello Sprar funziona e poi distruggerlo», accusa Maria Paola. «Bisogna riportare i richiedenti asilo. Almeno facciano questo, per ridare un minimo di dignità a queste persone ora abbandonate nei Cas in condizioni non umane o finite per strada. È anche una questione di sicurezza».


Le cooperative: «Siamo riusciti con la buona accoglienza a fare integrazione. Ma ora siamo in difficoltà. Se vengono a mancare le persone, cadranno i servizi per l’intera comunità»

Ancora peggiore la situazione dello Sprar per adulti di Africo, gestito dalla Fondazione Exodus in una casa della diocesi di Locri-Gerace. Previsto per 30 posti ha solo 12 ospiti. «Gli ultimi ingressi risalgono a gennaio – denuncia Anna Aspesi –. Quelli presenti sono quasi tutti in scadenza a dicembre e quindi saremo costretti a chiudere. E quelli con l’umanitaria finiranno per strada». Anche qui sono a rischio sei posti di lavoro: mediatori, psicologi, insegnanti, tutti giovani laureati. «Siamo molto preoccupati per l’occupazione, in un territorio dove il lavoro non c’è». E anche lei chiede «almeno una modifica al 'decreto Salvini': riaprire gli Sprar ai richiedenti asilo che ora finiscono solo nei Cas dove non si fa integrazione, se non coi volontari».

Va un po’ meglio allo Sprar di Monasterace gestito dalla cooperativa Abicoop, sempre del Consorzio Goel. Ma solo perchè si occupa di famiglie. Così ora su 25 posti 13 sono occupati da una famiglia siriana di 4 persone e una afghana di 9, arrivate a giugno. «Ma se non arriveranno altre persone saremo in grave difficoltà», avverte Patrizia Niceforo.

Una situazione che mette a rischio anche la bellissima esperienza del piccolissimo paese di Camini, un’altra Riace (è a 3 chilometri) ma molto meno conosciuta. Paesino di poco più di 300 abitanti rinato con l’arrivo degli immigrati: riaperto l’asilo, la scuola elementare, il tabaccaio.

Lo Sprar è per 118 persone ma attualmente ce ne sono 75, come ci spiega Rosario Zurzolo, presidente della cooperativa Eurocoop 'Jungi Mundu', ma la metà sono famiglie arrivate da Turchia e Libano con le missioni organizzate dal Viminale. «In questi anni siamo riusciti con la buona accoglienza a fare integrazione. Ma ora siamo in difficoltà. A dicembre scade il progetto e se vengono a mancare le persone, cadranno i servizi per l’intera comunità, proprio quelli riaperti grazie all'accoglienza degli immigrati». Così muoiono gli Sprar della Locride e muore anche la speranza di rinascita che in questi paesi la buona e efficiente accoglienza aveva fatto crescere.


Accoglienza. Vite dimenticate e finite nel limbo. Ora serve una risposta dello Stato (D. Motta)

LE VITE NEL LIMBO

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: