sabato 12 settembre 2015
​Sei criteri-guida per l’ospitalità di famiglie di profughi nelle parrocchie, per dare una prima risposta all’appello lanciato dal Papa: li ha presentati alla diocesi il cardinale di Bologna.
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Sei criteri-guida per l’ospitalità di famiglie di profughi nelle parrocchie, per dare una prima risposta all’appello lanciato dal Papa domenica 6 settembre. Li presenta alla diocesi di Bologna il cardinale Carlo Caffarra, che in attesa delle «modalità e indicazioni» per le diocesi che la Cei stabilirà nel Consiglio permanente di Firenze (30 settembre-2 ottobre) offre alcune «considerazioni per l'accoglienza dei profughi». È una riflessione operativa «per iniziare a dare corpo alla richiesta del Papa, sgomberare il campo da improvvisazioni, e cercare di muoverci in modo ordinato. Siamo solo all'inizio – spiega Caffarra – ma ci siamo messi subito in cammino e a Dio piacendo speriamo di fare molta strada». Si tratta dunque di «un processo che sarà inevitabilmente lento e ponderato» e che anzitutto non deve limitarsi a un approccio «emergenziale» verso «persone appena arrivate, per le quali sono attivi apposti centri», come «Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) e Cas (Centro accoglienza straordinaria)». L’arcivescovo sottolinea che «si tratterà invece di accoglienza di singoli o nuclei familiari già identificati e conosciuti per i quali si potrà predisporre un percorso specifico caso per caso». In secondo luogo Caffarra spiega che «l'Arcidiocesi agirà attraverso la Caritas diocesana che si interfaccerà da un lato con Prefettura e i Centri di cui sopra e dall'altro con le Caritas presenti sul territorio». È a queste che «faranno riferimento le singole parrocchie o comunità religiose o altre realtà che si rendono disponibili all'accoglienza». Puntando poi a «percorsi di vera accoglienza e integrazione» e per «garantire chi accoglie di non essere lasciato a se stesso» Caffarra ricorda come ogni realtà accolta «è necessario che sia quotidianamente visitata, monitorata e sostenuta dalla comunità tutta e da altre figure esterne competenti e autorevoli», con un coinvolgimento attivo di «associazioni, movimenti e altre aggregazioni ecclesiali». Per meglio comprendere lo spirito e la portata dell’operazione richiesta dal Papa sono importanti il quarto punto evidenziato da Caffarra («sarà gioia e onore per chi accoglie offrire amicizia, vicinanza fraterna, vitto e alloggio gratuitamente, escludendo quindi, nella generalità dei casi, ogni forma di rimborso economico per l'accoglienza prestata», con «tutto ciò che invece comporterà costi e impegni ulteriori» che «non sarà a carico della realtà ospitante ma impegno delle realtà caritative e istituzioni preposte che sovrintendono, gestiscono e tutelano questa accoglienza») come il successivo: «La parrocchia – si legge nella nota – non si identifica con il parroco o la canonica o le strutture parrocchiali. Proprio perché l'accoglienza sia espressione di tutta la comunità cristiana, si chiede che i sacerdoti responsabili di parrocchie e zone pastorali non si facciano carico da soli dell'accoglienza. Se non si riuscisse a garantire una effettiva corresponsabilità con almeno alcuni parrocchiani, neppure il parroco da solo potrebbe far fronte al bisogno; in tal caso si prenderà atto con dolore della impossibilità di accogliere». Infine l’arcivescovo di Bologna evidenzia come «il primo passo che ora concretamente possiamo compiere nelle nostre comunità è indirizzare alle Caritas» sul territorio le «disponibilità di accoglienza che vengono offerte (un appartamento abitabile ma ora non utilizzato, una famiglia disposta ad accogliere in casa propria qualcuno, altri spazi utilizzabili allo scopo)», mentre «la Caritas diocesana attiva i contatti con le istituzioni per capire di cosa c'è bisogno».

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