
Pier Paolo Pasolini
Nell’anno del cinquantesimo della morte di Pier Paolo Pasolini (assassinato all’Idroscalo di Ostia nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975) lo scrittore friulano debutta all’esame di maturità. È la prima volta, infatti, che il ministero ha deciso di proporre un suo testo nella prima traccia di analisi del testo. Diversamente che negli anni scorsi, in cui le scelte erano risultate piuttosto prevedibili, questa volta il ministero ha avuto coraggio, spingendosi a proporre un testo di un autore ormai canonico nella storia della letteratura italiana del Novecento, ma molto poco canonico a scuola. In realtà negli ultimi anni i manuali scolastici hanno visto crescere, anche dal punto di vista meramente quantitativo, la presenza di Pasolini: ormai quasi tutti i libri di testo presentano unità monografiche di varie decine di pagine a lui dedicate. Il problema è che molto raramente i docenti riescono ad affrontare gli autori del secondo Novecento. I documenti ministeriali prevedono che al quinto anno si giunga, con il programma svolto, sostanzialmente ai giorni nostri. Ma basta consultare a campione i programmi svolti per il quinto anno in diverse scuole e ci si accorge che Montale (per lo più il Montale degli Ossi di seppia, 1925, o al massimo delle Occasioni, 1939) è, nella maggioranza dei casi, il punto di arrivo. Siamo, insomma, indietro di un secolo.
Dunque, benvenuto Pasolini! La decisione del ministero di proporre autori e testi più vicini a noi (quest’anno, oltre a Pasolini, l’altro brano letterario presente per l’analisi del testo è tratto dal Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa) potrebbe avere un salutare effetto di incoraggiamento e di propulsione, spingendo gli insegnanti a compiere quel salto cronologico che sarebbe indubbiamente un salto di qualità.
Ma Pasolini è benvenuto non solo perché è un autore del secondo Novecento, ma anche in quanto è un autore che può parlare molto ai giovani. Questi ultimi sono infatti una presenza centrale nella sua opera: come personaggi (pensiamo a un romanzo come “Ragazzi di vita”), come oggetto di analisi sociale e come interlocutori (soprattutto, ma non solo, nel Pasolini polemista, quello degli Scritti corsari e delle Lettere luterane). La tensione pedagogica caratterizza gran parte dell’opera di Pasolini. Del resto ai suoi occhi i giovani incarnavano in maniera emblematica le trasformazioni, che lui giudicava negativamente, in atto nella società italiana del boom.
Il testo proposto alla maturità è una poesia minore (è contenuta nel volumetto intitolato “Dal diario” (1945-1947), costituito da una selezione delle sue poesie giovanili in italiano), non delle più note (del resto la produzione pasoliniana in versi è vastissima), ma che ha la caratteristica di essere stata scritta da un giovane che parla di sé e dei propri sentimenti. Pasolini l’ha composta in Friuli, a Casarsa della Delizia, paese natìo della madre e per lui autentico luogo dell’anima, all’inizio degli anni ‘40, quando, essendo nato nel 1922, aveva all’incirca l’età dei maturandi di oggi.
Il testo parla del tempo che trascorre, del passaggio dall’adolescenza alla maturità, in cui «è mutato / il cuore» del poeta, cioè il suo mondo interiore. Le età si avvicendano nell’esistenza di ciascuno, ma lo sfondo su cui si stagliano tali cambiamenti non muta: «intorno a me non muta / il silenzio e il biancore sopra i muri / e l’acque». Qualcosa passa, ma qualcos’altro rimane, e questa idea di permanenza dà forza e stabilità al nostro vivere. A permanere è soprattutto la natura: «annotta da millenni / un medesimo mondo» e i grilli cantano «quieti (...) il canto antico». È una poesia dal sapore leopardiano: richiama componimenti celebri come “La sera del dì di festa”, “Alla luna”, “Le ricordanze”, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, per il motivo della luna ma anche per quello della stanza da cui il poeta-ragazzo si affaccia sul mondo. Elementi che gli studenti più attenti avranno sicuramente notato. Anche perché il Recanatese, lui sì, è autore scolasticamente canonico.