mercoledì 8 maggio 2019
Sono due milioni i 'caregivers' nelle famiglie italiane, per tre quarti stranieri; ma il 60% lavora in nero Presentato un Libro bianco con dati e proposte per regolarizzare il settore
Badanti, patrimonio da tutelare
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Sono l’esercito buono della cura. Sono infatti più di 2 milioni le colf, le badanti e le baby-sitter in servizio nelle famiglie italiane, 800mila delle quali lavorano con contratto regolare (purtroppo il 60% di chi svolge un lavoro domestico per conto terzi lo fa tuttora “in nero”, ovvero senza coperture previdenziali né contributive) e 910mila senza permesso valido.

Si tratta comunque dell’1,25% del nostro Pil e dell’8,2% del totale dei lavoratori italiani: un comparto forte della nostra economia, nel quale però non esiste ancora un sistema di agevolazioni fiscali adeguato per chi assume ma solo minime forme di detrazioni e deduzione dei costi.

Ed è un lavoro di grande rilevanza sociale, di indispensabile supporto alle famiglie e – non ultimo – di inclusione delle popolazioni migranti, visto che la stragrande maggioranza degli addetti è di origine straniera (oltre che di genere femminile nell’88,3% dei casi): collaboratrici domestiche, caregiver familiari e “tate” che in Italia sono soprattutto filippine, cingalesi, pachistane o provenienti da Paesi dell’Est Europa nonché, in misura minore, dall’Africa (in totale il 73,1% è originario di Paesi non Ue).

Dati illuminanti contenuti nel Libro Bianco del lavoro domestico 'Famiglia, lavoro e abitazione', presentato ieri a Roma nella sala Parlamentino del Cnel da Assindatcolf (Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico) e da Effe (Federazione europea dei datori di lavoro domestico). Il settore infatti è ben rappresentato anche oltre i confini nazionali: in tutto il continente si contano attualmente 8 milioni di lavoratrici domestiche regolari (un decimo delle quali impiegate in Italia). «Anche se in Europa – precisa Alessandro Lupi, vice presidente Assindatcolf – nel 70% dei casi il lavoro domestico viene fornito grazie al servizio pubblico o ad organizzazioni profit e non profit e solo nel 30% dei casi è la famiglia ad assumere direttamente queste figure professionali: come invece accade quasi sempre da noi. Si capisce dunque come tale modello per sua natura sia più soggetto a irregolarità, pur se in genere è più economico poiché non prevede l’azione di intermediari».

Alla presentazione del Libro Bianco, che raccoglie gli esiti di uno studio durato due anni, sono intervenuti tra gli altri il presidente del Cnel Tiziano Treu, il giuslavorista Michele Tiraboschi, il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, il vice presidente della Federazione delle associazioni familiari cattoliche in Europa e responsabile economico e giuridico del Forum nazionale delle Associazioni familiari Vincenzo Bassi, il presidente di Federanziani Roberto Messina, il direttore di ricerca dell’Irs Sergio Pasquinelli, il presidente Fish onlus Vincenzo Falabella e il responsabile dei servizi statistico-informativi dell’Anmil Franco D’Amico.

Presenti anche numerosi esponenti politici. «Per quanto sottostimato – ha spiegato il vicepresidente di Assindatcolf ed Effe, Andrea Zini – il settore rappresenta comunque il 4% dell’occupazione totale in Europa, contro il 4,7% di quello dell’ospitalità e il 6,8% coperto dagli impiegati nelle costruzioni. Se supportato da adeguate politiche pubbliche e da finanziamenti, si stima che il comparto potrà espandersi in modo capillare nei prossimi anni, arrivando ad offrire in Europa un bacino di 5 milioni di nuovi posti di lavoro, per un totale di 13 milioni di occupati, con un incremento del 40% rispetto ad oggi».

Il rapporto non si limita a fotografare la situazione del settore, ma contiene 10 proposte per la possibile valorizzazione del comparto in Europa anche attraverso l’istituzione di una struttura comune di riferimento: si va dalla creazione di un osservatorio statistico centrale in grado di censire i reali numeri del settore (in gran parte ancora sommerso) al riconoscimento dello status europeo del datore di lavoro e del lavoratore domestico; dalla sicurezza nello svolgimento dell’impiego a una maggior visibilità del valore sociale di questo genere di lavoro; dalla formazione delle operatrici alla garanzia dei loro diritti sociali; dalla certificazione professionale degli addetti alla semplificazione amministrativa e agli aiuti per le regolarizzazioni. «Per lottare efficacemente contro la piaga economica e sociale del lavoro irregolare – ha riassunto il presidente di Assindatcolf, Renzo Gardella – non servono misure repressive ai danni delle famiglie ma, al contrario, incentivi all’assunzione e un sistema informatizzato che semplifichi la gestione del rapporto di lavoro».

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