«False dichiarazioni su Almasri»: è indagata la capo di gabinetto di Nordio

Per la procura di Roma la plenipotenziaria del ministero della Giustizia non avrebbe detto quanto sapeva sul rimpatrio del libico accusato di crimini contro l'umanità. Il governo la blinda.
September 8, 2025
«False dichiarazioni su Almasri»: è indagata la capo di gabinetto di Nordio
Ansa | Una foto di Giusi Bortolozzi del 2018: ai tempi era parlamentare di Forza Italia
Il caso-Almasri resta la principale spina nel fianco del governo. Le agenzie di stampa hanno raccolto una notizia prevista, ma non per questo meno dirompente: la capo di gabinetto del ministero della Giustizia, la plenipotenziaria Giusi Bartolozzi, è stata iscritta nel registro degli indagati dalla procura di Roma. Il reato ipotizzato dalla procura è il 371 bis del Codice penale, che punisce “chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero o dal procuratore della Corte penale internazionale di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito". Un reato per cui è prevista una pena fino a quattro anni di reclusione. Nelle prime ore successive alla notizia dell’indagine a carico di Bartolozzi, dal ministero della Giustizia non trapela preoccupazione. La sua posizione resterebbe “blindata”. La stessa Bartolozzi ha incontrato sia Nordio sia i due sottosegretaria alla Giustizia, il meloniano Andrea Delmastro Delle Vedove e il leghista Andrea Ostellari. In serata poi una nota del ministro della Giustizia:«Esprimo la mia piena e incondizionata solidarietà al mio capo di Gabinetto - scrive Nordio -. La dottoressa Giusi Bartolozzi, infatti, ha sempre agito nella massima correttezza e lealta', informandomi tempestivamente ed esaurientemente delle varie fasi della vicenda Almasri e di tutti gli aspetti ad essa relativi. Sulla base di questi ho fondato le mie valutazioni».

​La partita in Giunta per le autorizzazioni

La notizia arriva alla vigilia di giorni caldi, in cui la Giunta della Camera per le autorizzazioni a procedere dovrà pronunciarsi sulla richiesta del Tribunale dei ministri di mandare a processo il Guardasigilli Carlo Nordio, il titolare dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Proprio l’iscrizione di Bartolozzi nel registro degli indagati a Roma potrebbe spingere la Giunta a ridiscutere un tema di grande complessità tecnica e soprattutto sensibilissimo dal punto di vista politico: ci sono correnti di pensiero secondo cui la plenipotenziaria di via Arenula, pur non essendo una politica, potrebbe essere oggetto di una “protezione” dal processo da parte della Giunta parlamentare analoga a quella prevista per i membri del governo. È noto che i membri di centrodestra della Giunta non vogliono concedere l’autorizzazione a procedere contro Nordio, Piantedosi e Mantovano, l’estensione a Bartolozzi eviterebbe il processo anche a lei, considerata, atti alla mano, perno centrale dell’intero caso-Almasri. Un’ipotesi credibile anche per un giurista e costituzionalista di diversa area culturale, Stefano Ceccanti, secondo cui nella ricostruzione del ruolo di Bartolozzi “prevale il profilo sistematico, secondo me il caso dovrebbe essere integrato con la richiesta di autorizzazione, mi aspettavo che la Giunta lo chiedesse a prescindere". A questo punto l’organismo parlamentare "potrebbe registrare il fatto nuovo e chiedere l'integrazione come successo tante volte per cosiddetti indagati laici", ovvero non ministri. Il forzista Pietro Pittalis, componente della Giunta, è il primo a confermare che ci sarà una riflessione. Ma questo scatenerebbe la reazione delle opposizioni, in un contesto già segnato dal profondo scontro con la magistratura sulla riforma che prevede la separazione delle carriere.
I lavori della Giunta, su cui ora si sono accesi riflettori ancora più luminosi, si concluderanno entro la fine del mese. La maggioranza è nelle mani del centrodestra, ma il presidente è l’esponente di Avs Devis Dori che ha scelto come relatore il dem Federico Gianassi. Nella sostanza ciò non impedirà alle forze di governo di imporre la legge dei numeri, ma renderà più complesso il percorso. In particolare, Gianassi ha la facoltà di allegare atti alla relazione, e potrebbe dunque rendere pubblici documenti finora non noti. Nordio, Piantedosi e Mantovano – che saranno convocati in Giunta - sono finiti sotto inchiesta per le ipotesi di favoreggiamento, peculato e (il solo Nordio) omissione di atti d’ufficio in relazione alla liberazione e al rimpatrio a Tripoli, su un aereo di Stato, del generale libico ricercato dalla Corte penale internazionale per torture, omicidio e altri crimini contro l’umanità. Dopo il pronunciamento della Giunta, sia che venga bocciata la relazione (l’ipotesi più probabile) sia che passi, a ottobre la richiesta verrà messa al voto dell’Aula di Montecitorio.
Nella vicenda non è direttamente coinvolta la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La sua posizione è stata archiviata perché secondo i magistrati lei non sarebbe stato informata dei vari passaggi che hanno portato alla liberazione di Almasri. La premier si è ribellata a questa versione, rivendicando la sua piena corresponsabilità. Ma ormai la sua posizione è squisitamente politica, non giudiziaria.

​Il ruolo di Bartolozzi

Proprio dalle ricostruzioni dei magistrati delle vorticose ore di gennaio che portarono al rientro del carceriere Almasri in Libia - su aereo di Stato italiano - emerge il ruolo di Bartolozzi, soprattutto sulla conoscenza di elementi procedurali che avrebbero potuto consentire all’Italia di bloccare Almasri ed eseguire l’ordine della Corte penale internazionale. Nelle carte dei giudici ci sarebbero riscontri del fatto che il ministero di via Arenula abbia appreso in tempo reale del fermo di Osama Najim Almasri, ricostruzione che smentirebbe la versione data alle Camere dal ministro Nordio. Secondo i magistrati, fin dal primo pomeriggio di domenica 19 gennaio, il capo di gabinetto di Nordio sapeva ciò che stava avvenendo, tanto da dare indicazioni ai magistrati del Dipartimento degli affari di Giustizia di comunicare con cautela. L’allora capo del Dag, Luigi Birritteri (poi dimessosi e rientrato in magistratura) avrebbe scritto a Bartolozzi una mail per indicare la mancanza dell'autorizzazione all'arresto del ricercato, attivandosi per trovare il modo di convalidare il fermo. Ma Bartolozzi avrebbe risposto di esserne informata, raccomandando «massimo riserbo e cautela» nelle comunicazioni, anche attraverso l’utilizzo della app Signal. Secondo questa ricostruzione l'Italia avrebbe avuto il tempo di riparare all'errore procedurale segnalato dalla Corte di appello di Roma sull’irritualità dell’arresto, che poteva essere sanato solo con l’intervento del dicastero.
Proprio il Tribunale dei ministri, nel procedimento che coinvolge Nordio, Piantedosi e Mantovano, aveva ritenuto la versione fornita da Giusi Bartolozzi «sotto diversi profili inattendibile e, anzi, mendace». Per gli inquirenti quanto riferito dalla plenipotenziaria di Nordio «è intrinsecamente contraddittorio, laddove affermava, da un lato, che, non appena avuto notizia dell’arresto, ne aveva informato il ministro. Parimenti, subito dopo la prima riunione su Signal del 19 gennaio, lo aveva richiamato; che, in generale, si sentiva con lui quaranta volte al giorno (...) tuttavia, non aveva ritenuto opportuno sottoporgli la bozza predisposta dall’ufficio», proposta dai tecnici del dicastero per sanare il vizio di forma sul fermo di Almasri, il carceriere libico accusato dalla Corte penale internazionale di terribili crimini contro l’umanità.

​Le mosse della Libia e de L'Aja e gli inizi del caso

La forte polemica in Italia è stata accentuata anche da altri risvolti clamorosi. In estate è stata proprio la Procura generale libica ad emettere un ordine formale di comparizione nei confronti di Almasri, definito «ex alto ufficiale del dispositivo di sicurezza penitenziaria», in relazione alle imputazioni del mandato di arresto della Corte penale internazionale (che includono stupro, tortura, omicidio trattamento inumano, detenzione arbitraria e altri reati riconducibili a crimini contro l'umanità). Non solo: le spiegazioni del governo italiano non hanno convinto la procura dell’Aja, che ha deferito Roma all’Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Insomma, la vicenda ha già tutte le caratteristiche per “accompagnare” la fine della legislatura e il varo della riforma della giustizia, tra crescenti e rudi polemiche. Iniziata il 18 gennaio con il mandato d’arresto de L’Aja, arriva a un punto di potenziale svolta con l’arresto a Torino del 19 gennaio. Due giorni dopo, però, il 21 gennaio, il ricercato libico viene rilasciato su disposizione della Corte d’appello perché l’arresto non è stato preceduto dalle previste interlocuzioni con il ministero della Giustizia. Almasri viene dunque rimpatriato per motivi di sicurezza (questa la spiegazione data dal ministro dell’Interno Piantedosi) con un volo di Stato italiano e accolto con grandi feste a Tripoli.

© RIPRODUZIONE RISERVATA