mercoledì 21 maggio 2025
C'è chi prova per l'ennesima volta ad attraversare la Manica, chi teme i poliziotti e chi si prepara a una nuova odissea dopo il deserto e Lampedusa. Abbiamo raccolto le loro voci sul campo
Migranti nella jungle di Calais

Migranti nella jungle di Calais - Francesca Ghirardelli

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Correre veloci sulla spiaggia non è facile, soprattutto quando si è al sesto mese di gravidanza, o si ha un figlio piccolo in braccio, o una gamba rotta immobilizzata da un tutore. «Stavamo correndo, appena usciti dal nascondiglio fra la vegetazione. Alcuni aiutavano a trasportare i bambini e gli anziani. La barca è arrivata all’improvviso, poi l’unica cosa che abbiamo visto è stato il gas lacrimogeno che cadeva. Abbiamo cercato di coprirci, ma l'abbiamo respirato», racconta Immanuel, etiope di 25 anni, descrivendo ciò che gli è accaduto il giorno in cui lo abbiamo incontrato. Con una cinquantina di persone, alle 7 del mattino del 1° maggio, ha tentato di attraversare la Manica, partendo dalla costa francese di Boulogne-sur-Mer, a sud di Calais, per entrare nel Regno Unito e chiedere asilo. «Venti secondi e saremmo saliti sul gommone, ma dal nulla sono arrivati i poliziotti. È stata una pioggia di lacrimogeni, anche sui bambini. Bruciavano gli occhi, la gola, tutto. La polizia francese li usa sempre». Sono già oltre dodicimila le persone arrivate via mare sulle coste britanniche da inizio anno (600 solo il 12 maggio), in aumento del 40% rispetto gli stessi mesi del 2024. Tra gennaio e aprile si sono registrati più arrivi che nello stesso periodo di qualsiasi altro anno da quando si tiene il conto, cioè dal 2018. Anche i morti sono aumentati. Il 2024 ha visto il numero più alto di decessi, almeno 82, secondo l'Oim.

Le tende lungo il canale al quai de la Gironde, dove si accampano soprattutto kwaitiani, iracheni, siriani

Le tende lungo il canale al quai de la Gironde, dove si accampano soprattutto kwaitiani, iracheni, siriani - Francesca Ghirardelli

Dalla Libia a Calais: un’odissea senza fine

Dopo essere sopravvissuti a Sahara, Libia, Tunisia, Mediterraneo e rotta balcanica, rischiare di nuovo la vita quando si è già in Europa sembra incomprensibile. Per Immanuel è stato l’ottavo tentativo. Senza contare quello via terra in cui è montato sopra un camion diretto in Gran Bretagna. È così che si è rotto la gamba, perché la polizia lo ha tirato giù. Dopo la Libia, il ragazzo era riuscito a entrare in Belgio dove ha chiesto asilo. «Ma la mia domanda è stata respinta. Ovunque nell’Ue per me sarebbe lo stesso, il sistema è unico – spiega –. Così vado nel Regno Unito. Questo è il motivo per cui tanti ci provano». C’è chi attraversa per raggiungere parenti già di là, sapendo di ricongiungimenti familiari legali difficili da ottenere. E c’è chi crede a un Eldorado britannico. Ma numerosi sono quelli alla ricerca di una seconda possibilità, fuori dal circuito di Dublino e dell’Unione europea, per ripartire da zero con l’asilo. Ce lo ripetono in molti che hanno vissuto in Germania per anni, senza ottenere i documenti. Ora ci riprovano oltremanica, in un cortocircuito che è effetto collaterale della Brexit.

Le tende lungo il canale al quai de la Gironde, dove si accampano soprattutto kwaitiani, iracheni, siriani

Le tende lungo il canale al quai de la Gironde, dove si accampano soprattutto kwaitiani, iracheni, siriani - Francesca Ghirardelli

Nella boscaglia lungo Rue des Fontinettes c’è una delle jungle di Calais. Vi si accampano eritrei ed etiopi, fra tende sfondate, file di scarpe ad asciugare, pentole appoggiate vicino a cumuli di spazzatura. Chi vive qui parla dei topi che di notte girano in cerca di cibo, scarso anche per gli umani. Quando entriamo, l’accampamento è in agitazione, il container dell’acqua è vuoto. Davanti alla sua tenda c’è Lulya, eritrea di 18 anni, quasi svenuta in mare per i gas lacrimogeni nel penultimo tentativo di attraversare. È stata in Libia, poi in Italia e in Germania ha chiesto asilo. «Che però, è stato respinto». L’11 maggio ha provato di nuovo a imbarcarsi, ma non ha corso abbastanza veloce verso il gommone. Lo stesso giorno si è contata un’altra vittima in mare. Nella boscaglia vive anche Jerusalem, di Asmara. È incinta e nella tenda con lei c’è un bambino. Con il marito Samuel (che ci mostra i segni dei proiettili che lo hanno colpito in Libia) ha ugualmente avuto il diniego dell’asilo in Germania.

Una mamma incinta con i bambini nella juncle di Calais

Una mamma incinta con i bambini nella juncle di Calais - Francesca Ghirardelli

Speranze appese al vento, tra app e trafficanti

Sono trenta i chilometri nel punto più breve, dalle coste francesi a quelle britanniche. Ma la rigida sorveglianza delle autorità ha spinto su rotte più lunghe e meno sicure. Nel 2023, il governo britannico ha promesso alla Francia 500 milioni di sterline in tre anni per finanziare videosorveglianza, droni e tecnologia per la visione notturna. Non è servito a molto. Ora, presentando nuovi piani di inasprimento delle regole per i visti, il premier laburista Keir Starmer il 12 maggio ha dichiarato di volere «riprendere il controllo« dei confini, visto il rischio di «diventare un’isola di stranieri». Nella Manica di norma le autorità francesi, di fronte a un’imbarcazione già in acqua, non intervengono. Seguono a distanza e se c'è avaria, riportano tutti in Francia. Attraversare costa dai 1.400 ai 2.000 euro.

Rifiuti e degrado nella jungle di Calais

Rifiuti e degrado nella jungle di Calais - Francesca Ghirardelli

Le jungle e gli squat, malsani e senza servizi igienici, sono soggetti a sgomberi frequenti, tende e sacchi a pelo requisiti. I sudanesi occupano quello che viene chiamato l'hangar Orange. Lungo il canale al quai de la Gironde troviamo, invece, ragazzi e famiglie da Kuwait, Iraq, Siria. Si riposano fra grosse pietre, collocate dalla municipalità per impedire di piantarci le tende. Lì c’è il signor Rashid, kuwaitiano di 57 anni, che vuole raggiungere i fratelli in Inghilterra. Wissam, invece, viene da Gaza: «La Germania chiude agli stranieri – spiega –. Niente documenti». È di Aleppo Mohammed, che ha vissuto in Turchia e che in Siria non vuole tornare, perché per lui il nuovo presidente Al-Joulani «è Daesh». Un gruppo è appena rientrato da un tentativo fallito, chiede cibo, un ragazzo sembra sul punto di svenire. La distribuzione di alimenti, opera di una Ong, però è già terminata. La rete di solidarietà c’è, ma l’assenza delle istituzioni lascia vuoti troppo grandi.
Trentacinque chilometri più a nord, a Dunkerque, in un’area boschiva attorno a uno spiazzo dove si concentrano gli aiuti umanitari, sono disseminate centinaia di tende. Il giovane D., etiope, ha tentato la traversata sei volte. «Non so niente di Calais, l’agente (cioè il trafficante, ndr) mi ha portato qui» dice. Intanto, molti tengono d’occhio un’app chiamata Windy. Fornisce dati su direzione del vento, pioggia e altezza delle onde. Creata per chi fa windsurf, è usata anche da chi si mette in mare sui gommoni stracarichi. Così, online, chi aspetta di imbarcarsi cerca di prevedere quando la telefonata del trafficante arriverà per annunciare il prossimo tentativo.





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