venerdì 17 agosto 2018
Il viaggio di Giovanni Paolo II segna una svolta storica. L’incontro con le famiglie e i giovani: «Non fuggite»
Giovanni Paolo II e Fidel Castro nel gennaio del 1998 (Ansa)

Giovanni Paolo II e Fidel Castro nel gennaio del 1998 (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

«Voglio che mi dica la sua verità, come uomo, come presidente, come Comandante della Rivoluzione. E anche la verità sul suo Paese, sulle relazioni tra la Chiesa e lo Stato, su tutto quello che è importante per noi e per tutti». Lo storico viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba sta per cominciare o forse, poiché sta parlando sull’aereo che lo conduce da Roma all’Avana, è già cominciato. Il Papa dialoga con i giornalisti. A bordo, per Avvenire c’è Salvatore Mazza. Un altro inviato, Gerolamo Fazzini, è già a Cuba. Il titolo di prima del 22 gennaio 1998 è proprio questo: «Il Papa: da Castro voglio la verità. Da ieri sera a Cuba per portare la "rivoluzione dell’amore"». Sull’aereo, riferisce Mazza, aggiunge: «A me dicono sempre la verità», e auspica ancora una volta l’allentamento dell’embargo. Fazzini intanto intervista il salesiano don Bruno Roccaro, fiducioso: «Comunque vada, il viaggio segnerà una svolta, lascerà una traccia indelebile».

Lo storico viaggio è stato lungamente preparato. Fidel Castro è già stato in Vaticano. Tutto è pronto. Ma che cosa accadrà? I commentatori si dividono: chi trarrà i maggiori vantaggi? La logica è quella del potere. Così il 21 gennaio Luigi Geninazzi presenta il viaggio (titolo: «Dove egli arriva qualcosa è sempre cambiato»): «La visita, carica di simbolismi e d’attese, è già stata definita da molti commentatori "una sfida", un incontro-scontro tra l’uomo di Dio che ha abbattuto il comunismo e l’ultimo rivoluzionario d’Occidente, guerrigliero coraggioso e governante disastroso». Castro rischia, ma spera di trarre dei vantaggi. Ma sapere in anticipo che cosa avverrà è impossibile. «Imprevedibilità, rischio, profezia. Diceva lo scrittore russo Bulgakov che "tutto deve ancora succedere perché nulla può durare in eterno". Una frase cara al Papa venuto dall’Est ma probabilmente sconosciuta all’ultimo rivoluzionario d’Occidente: lui dei russi ha conosciuto solo il peggio».

Lo stesso giorno a pagina 3 Giuliano Ragno intervista l’arcivescovo Jean Louis Tauran, segretario per i rapporti con gli Stati. Le sue sono parole che valevano ieri e valgono oggi: «Il Papa nei suoi viaggi apostolici non va per sostenere o distruggere regimi o governi. La sua parola profetica può anche aiutare la nascita di una riflessione su scelte politiche e sociali. Quando parla si riferisce a principi universali e tutti sono invitati a fare un esame di coscienza».

Non è una coincidenza che il 23 gennaio il titolo d’apertura di Avvenire sia: «A Cuba una lezione di diritti». Il primo incontro è con le famiglie: «Il Papa ai genitori: voi siete più forti dello Stato». Subito è chiaro l’intento di Giovanni Paolo II, il solito di sempre: infondere fiducia, rafforzare la fede, dare coraggio al popolo. Aveva ragione Domenico del Rio quando, alla vigilia, polemizzava con garbo con giornali, radio e tv che il Papa «non lo mandano a Cuba, lo mandano da Fidel. Non lo mandano dal popolo di Cuba, dal suo popolo di Dio che è a Cuba; lo mandano dal Comandante». Quanto sia errata la miope prospettiva di troppi commentatori laici è subito evidente. Scrive Mazza: ai genitori il Papa spiega che nessuna autorità pubblica «deve poter scegliere per i loro figli l’orientamento pedagogico». Nello stesso tempo, il Papa infonde coraggio alle famiglie e indirettamente rassicura Castro: «Non abbiate paura, aprite le famiglie e le scuole ai valori del Vangelo di Cristo, che non costituiscono un pericolo per nessun progetto sociale». Commenta Mazza: «Parole pesanti in questa terra dove il governo su quasi tutto si dice pronto a dialogare, tranne che su scuola, sanità e informazione. Terreno minato che Giovanni Paolo II non ha timore di percorrere».

Tocca poi (24 gennaio) ai giovani: «Non fuggite da Cuba». Agli intellettuali, con i quali, scrive Fazzini, tesse l’elogio di padre Felix Varela, «padre dei poveri e della nostra filosofia, pietra angolare della nazione cubana», che insegnò a generazioni di cubani «la difficile arte di pensare correttamente e con la propria testa». Infine (25 gennaio) viene, è il titolo di prima, «Il giorno delle spine per Castro. Il Papa: "Libertà per la Chiesa e diritti per tutti i cittadini"». Andrea Riccardi scrive cose assai simili a quelle dette da Tauran: «La presenza del Papa innesca processi di responsabilizzazione della Chiesa, fa sentire la gente più libera e la incoraggia a non rassegnarci». Infine, il 27, Avvenire racconta la Messa nella piazza della Rivoluzione. L’omelia termina con questa preghiera: «Possa Cuba aprirsi al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba».

Il commento finale spetta a del Rio: «C’erano due uomini. Karol Wojtyla, il pontefice di Roma, dall’alto dell’altare pronunciava la parola proibita: libertà. E c’era un uomo, Fidel Castro (…). Sorrideva incerto (…). L’uomo che aveva sempre riempito di folla quella piazza, che vi aveva riversato fiumi di parole, ora era in silenzio, in solitudine: l’inesorabile solitudine dell’uomo di una Rivoluzione che non ha saputo costruire amore».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI