Non c'è solo la famiglia nel bosco: migliaia di bimbi faranno Natale lontano da casa
di Luciano Moia
Quanti saranno i minori che trascorreranno le feste senza genitori, in comunità e strutture protette? Ecco cosa dicono i numeri. Le differenze sono forti: il Nord ha il 70% degli allontanamenti, mentre solo un terzo è al Sud, dove ci sono meno tutele

I bambini della casa nel bosco di Palmoli non torneranno a casa per Natale. Ma non saranno gli unici minori a trascorrere la festa più bella dell’anno lontano da casa. Nella loro stessa situazione ci sono nel nostro Paese altri ventimila bambini e ragazzi di cui però nessuno parla. A cui non vengono dedicati servizi e talk show, che non suscitano il minimo interesse da parte della politica. Una contraddizione che la dice lunga sulla sensibilità a circuito variabile verso il dramma dei minori fuori famiglia e dei loro genitori. Tanto clamore per un caso, certamente importante e certamente singolare. Silenzio assoluto per gli altri ventimila, altrettanto importanti e altrettanto singolari. Ora, come sappiamo, la Corte d’appello dell’Aquila ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati della famiglia anglo-australiana. La palla torna quindi al Tribunale per i minorenni che dovrà valutare i progressi, soprattutto per quanto riguarda la socializzazione, compiuti dai tre bambini ospiti dal 20 novembre scorso di una casa famiglia a Vasto. E da qui nuove domande, nuove valutazioni, nuove analisi del caso da parte di opinionisti e tuttologi che affollano i salotti televisivi dove, quasi quotidianamente, si passa al setaccio la vicenda, si analizzano le relazioni dei servizi sociali, tra cui l’ultima in cui si spiega che i bambini non sanno leggere, che si stupiscono di fronte alla doccia, che mostrano di non aver mai usato il sapone, che fanno fatica a spiegarsi con gli altri bambini perché quasi non parlano in italiano. Questioni non decisive, d’accordo, che forse avrebbero potuto essere risolte spiegando alla famiglia la necessità di mostrarsi più collaborativa. Proprio come sta avvenendo in questi giorni, con i genitori che hanno annunciato la loro disponibilità a trasferirsi in una villetta dotata di tutti i servizi – acqua, luce, gas, servizi igienici - mancanti nel casolare abitato fino a poche settimane fa.
La famiglia nel bosco e il caso mediatico
La partecipazione mediatica ed emotiva alla sorte dei tre fratellini – il fatto più seguito in tv negli ultimi tre mesi insieme al delitto di Garlasco – offre vari spunti di riflessione. Da quando i tre piccoli sono stati allontanati dai loro genitori con una decisione urgente del Tribunale per i minorenni dell’Aquila e condotti in una struttura protetta dove continuano a vedere la madre per alcune ore al giorno – possibilità di cui anche il Tribunale d’appello ha riconosciuto l’importanza – l’attenzione, ma anche le polemiche, gli attacchi ai giudici, il dibattito tra istituzioni, avvocati, esperti non è mai venuto meno. Perché tutto questo clamore? Da una parte c’è il fascino esercitato dall’ambientalismo integralista della famiglia che rifiuta la modernità e pretende di educare i figli secondo parametri alternativi, dall’altra c’è chi fa notare che i giudici hanno il dovere di intervenire quando, come previsto dalla legge, vengono violati alcuni diritti dei minori, come l’istruzione, la socializzazione, la tutela igienico-sanitaria.
Gli allontanamenti voluti dai giudici in Italia
Ma Nathan e Catherine, papà e mamma dei tre fratellini a cui è stata sospesa la responsabilità genitoriale, hanno davvero violato questi diritti? È la domanda che si potrebbe porre ogni volta che i giudici decidono di intervenire per allontanare un minore dalla propria famiglia. In Italia succede più di venti volte al giorno. Oltre ottomila casi in un anno, secondo l’unico dossier sugli allontanamenti diffuso nel 2019 dall’allora ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede (M5s) sull’onda del caso Bibbiano. Ma in sei anni è facile ipotizzare che non sia cambiato quasi nulla. Anzi, gli allontanamenti forse sono anche di più. Quasi il 70 per cento avvengono al Centro-Nord. Solo un terzo al Sud, almeno secondo il dossier diffuso nei giorni scorsi dal Centro Studi Affido diretto da Marco Giordano e Marilena Lollo, Quaderni “Abbandono zero” (dicembre 2025) che pure non si occupa in modo specifico di allontanamenti. Si tratta invece di uno studio che prende in esame i dati raccolti dall’Istituto degli Innocenti di Firenze per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e che si riferisce al 2024. Sono dati di grande interesse, con prospettive anche drammatiche, come quello relativo ai minorenni in carico ai servizi sociali territoriali. Sono 330.884, pari al 38,5 per mille della popolazione minorile residente in Italia, i bambini e i ragazzi che hanno avuto la necessità dell’intervento degli assistenti sociali. Ma l’aspetto che di più ci interessa riguarda i minori ospiti delle strutture residenziali, proprio come i fratellini di Palmoli, che alla fine del 2024 erano – esclusi i minori stranieri non accompagnati – 20.592. Mentre i minorenni in affidamento familiare erano 12.733. In 8 casi su 10 la decisione arriva da un provvedimento del giudice. Anche perché i Centro Affidi, le strutture cioè collegate agli enti locali che dovrebbero occuparsi di fare da ponte tra famiglie in difficoltà e famiglie accoglienti, sono presenti solo nel 36,9% del territorio, con punte massime in Veneto (85,7%), Toscana (78,6%) e Lombardia (58,9%).
Il divario sommerso tra Nord e Sud
Un divario che, secondo quanto scrivono Giordano e Lollo, lascia pensare come troppi bambini al Centro-Sud non godano delle tutele necessarie. «Confrontando i tassi di presa in carico minorile delle singole regioni, emergono forti differenze, con l’estremo superiore – scrivono i due esperti – rappresentato da Piemonte (66 minorenni in carico ogni mille minorenni residenti), Emilia-Romagna (64 per mille) e Liguria (62 per mille) e l’estremo inferiore relativo ad Abruzzo (18 per mille), Calabria (19 per mille) e Sicilia (22 per mille). Si tratta di differenze di oltre tre volte tra il minimo e il massimo». E questo, sottolineano ancora, lascia immaginare «la presenza di sacche di disagio minorile e familiare sommerso, non rilevato o, peggio, rilevato ma non presidiato.
Il difficile equilibrio a tutela dei minori
Insomma, a differenza di quanto si sta raccontando in questi mesi a proposito della famiglia nel bosco, gli interventi degli assistenti sociali non sono mai finalizzati “a portare via i bambini” ma a tutelarne la crescita in un ambiente familiare sano e stimolante. Non vuol dire che l’operato dei Servizi sociali sia sempre irreprensibile. Gli errori di valutazione ci sono. Anche per una serie di ostacoli strutturali di cui abbiamo più volte parlato. La stessa presidente dell’ordine degli assistenti sociali, Barbara Rosina, ha più volte sottolineato l’esigenza di una formazione professionale più accurata e ha messo in luce le grandi diversità, anche sotto il profilo delle competenze, tra le varie aree del Paese. Perché, come più volte abbiamo scritto, in 9 casi su 10 sono proprio le relazioni degli assistenti sociali a determinare, spesso ad orientare, gli interventi dei giudici minorili, compresi i provvedimenti che si traducono nell’allontanamento di bambini e ragazzi dalle loro famiglie d’origine. Spesso si tratta di interventi indispensabili per mettere al riparo i minori da maltrattamenti, abusi e violenze, oppure per porre rimedio a casi di abbandono e di incuria grave. Ma esistono anche tanti casi più complessi, dove i genitori non si rassegnano alle decisioni dei magistrati e si oppongono con tutte le loro forze, anche trincerandosi in casa e respingendo i tentativi delle forze dell’ordine di prelevare i bambini con la forza. Succede più spesso di quanto si possa immaginare tanto che le scorse settimane la garante per l’infanzia e l’adolescenza, Marina Terragni, ha chiesto consultazioni urgenti con il ministero della Giustizia, Carlo Nordio, e con la ministra della famiglia, Eugenia Roccella. Obiettivo quello di arrivare a linee-guida nazionali per regolamentare questi interventi, eliminando qualsiasi modalità violenta e traumatizzante. Si ipotizza che su una ventina di allontanamenti al giorno almeno un terzo avvenga in modo inadeguato e finisca per incidere pesantemente sull’equilibrio psico-fisico di bambini e ragazzi che poi vengono confinati nelle strutture d’accoglienza per minori. In Italia – sempre secondo il dossier Quaderni “Abbandono zero” – sono 4.836 e ciascuna ospita in media sei minori. Una galassia in cui, accanto a realtà ben strutturate, gestite con professionalità e attenzione, esistono anche “case” più problematiche, dove non sempre bambini e ragazzi che già hanno alle spalle situazioni di grande sofferenza, vengono accompagnati in modo adeguato. La relazione parlamentare sulle comunità per minori avviata nel 2017 e conclusa nel 2021 aveva messo in luce come i responsabili di troppe strutture sembrano animati soprattutto da obiettivi di “facile guadagno” e aveva fatto notare le tante “inadeguatezze” di queste realtà.
La necessaria vigilanza che manca ancora
Cosa è stato fatto da allora per evitare che bambini e ragazzi allontanati dalle proprie case finiscano in comunità gestite in modo approssimativo, con personale non preparato? Quasi nulla. La responsabilità delle verifiche toccherebbe alle procure minorili attraverso le autorità socio-sanitarie locali ma sappiamo che organici sempre scarsi e risorse sempre più all’osso – come denunciato più volte dall’Associazione italiana magistrati per la famiglia e per i minori – rendono questi controlli del tutto sporadici. Purtroppo.
Così, da Nord a Sud, ci sono in questo momento oltre 20mila minori che, proprio come i tre fratellini di Palmoli, sono chiusi in strutture d’accoglienza di cui ignoriamo efficienza e professionalità. Ventimila bambini e ragazzi che, proprio come i fratellini del bosco, non possono vedere i propri genitori. Sappiamo anche, sempre alla luce dei dati diffusi dal Centro Studi affido, che circa il 55 per cento di loro non avrà la possibilità di rientrare nelle famiglie di origine. Un numero che fa pensare, come fanno pensare i casi drammatici e dolorosi che hanno portato questi minori lontano dalle loro famiglie di origine. E di loro non parlerà nessuno. Giusto allora, come sta avvenendo, puntare i riflettori sulla storia della famiglia che abitava nel piccolo casolare di Palmoli. Ma senza dimenticare che situazioni identiche se non peggiori si verificano più di venti volte, ogni giorno, nel nostro Paese. Oltre ventimila bambini e ragazzi che, come quei tre fratellini, vivranno un Natale lontano dai genitori. Non sappiamo chi sono, non conosciamo i loro nomi, ma sappiamo che vivono lo stesso dramma e la stessa sofferenza.
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