L'accusa all'Italia e il rinvio: cosa ha detto la Cpi su Almasri

La Corte penale internazionale: Roma non ha rispettato gli obblighi internazionali e ha mancato di diligenza e di chiarezza sulla vicenda del trafficante libico rimandato a Tripoli. Ora il governo ha 13 giorni per trasmettere le sue comunicazioni
October 18, 2025
L'accusa all'Italia e il rinvio: cosa ha detto la Cpi su Almasri
Il generale libico Almasri / Ansa
L’Italia non ha rispettato gli obblighi di cooperazione internazionale. Scampato meno di una settimana fa il rinvio a giudizio chiesto dal Tribunale dei ministri per i responsabili dei dicasteri della Giustizia Carlo Nordio e dell’Interno Matteo Piantedosi e per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il caso Almastri porta altri guai per il Governo Meloni. Sì perché adesso è la Corte penale internazionale a puntare il dito sull’operato dell’esecutivo italiano nella gestione del caso di Njeem Osama Almasri Habish, meglio conosciuto come Almasri, l’ex capo della polizia giudiziaria libica che, tra il 19 e il 21 gennaio scorsi, era stato arrestato e rilasciato in poche ore dalle autorità italiane sebbene su di lui pendesse un mandato di arresto internazionale spiccato dalla Corte penale internazionale (Cpi).
L’Italia, infatti, «non eseguendo correttamente la richiesta d’arresto e consegna» del generale libico Almasri, «non ha rispettato i propri obblighi internazionali» di cooperazione. Nonostante ciò, a maggioranza, la camera preliminare I della Corte penale internazionale ha deciso di rinviare la scelta su un eventuale deferimento dell’Italia all’assemblea degli Stati parte o al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il Governo, perciò, adesso dovrà fornire entro il 31 ottobre informazioni su eventuali procedimenti interni pertinenti e sul loro impatto sulla cooperazione con la Corte.
La Cpi ha così messo nero su bianco che sul caso Almasri «il Governo italiano non ha rispettato i suoi obblighi - sottolinea Alessandro Zan, responsabile Diritti nella segreteria nazionale del Pd ed europarlamentare . In parole povere, ha agito nell'illegalità e ha ignorato la giustizia internazionale. Un fatto gravissimo e una figuraccia mondiale del Governo Meloni che getta discredito sul nostro Paese e sulla sua credibilità. Altro che governo del patriottismo: questo è un governo che svende la dignità nazionale».
Nelle loro conclusioni, le tre giudici della camera preliminare I dell’Aja ritengono difatti «all’unanimità che l'Italia non abbia agito con la dovuta diligenza né utilizzato tutti i mezzi ragionevoli a sua disposizione per ottemperare alla richiesta di cooperazione» della Corte penale internazionale. Il Governo, prosegue ancora la Corte, non ha inoltre fornito «alcuna valida ragione giuridica o ragionevole giustificazione» per il trasferimento immediato di Almasri in Libia, «anziché consultare preventivamente la Corte o cercare di rettificare eventuali difetti percepiti nella procedura d’arresto».
Così secondo le togate (la presidente della camera preliminare I, Iulia Motoc, la beninese Reine Alapini-Gansou e la messicana Maria del Socorro Flores Liera), nonostante «l’ampio tempo a disposizione» e i «ripetuti tentativi d’interloquire con il ministero della Giustizia italiano», l’Italia non ha mai contattato la Corte per «risolvere eventuali ostacoli» relativi al mandato d’arresto e alla «presunta richiesta d’estradizione concorrente» da parte della Libia, impedendo così alla Cpi «di esercitare le proprie funzioni».
Il Governo italiano ha giustificato il rimpatrio di Almasri con «motivi di sicurezza e il rischio di ritorsioni», ma la Corte ha ritenuto queste spiegazioni «molto limitate», osservando che «non è chiara» la scelta di «trasportarlo in aereo verso la Libia». Inoltre, su questo punto le giudici ricordano che le questioni di diritto interno non possono essere invocate per giustificare una mancata cooperazione con la Cpi, respingendo dunque la tesi italiana.
Pur constatando la violazione, tuttavia, le giudici hanno scelto di non deferire subito il caso all’Assemblea degli Stati parte o al Consiglio di sicurezza dell’Onu, riconoscendo e assicurando di tenere in considerazione la «complessità» del caso. A maggioranza - con Flores Liera in dissenso - è stato deciso di concedere al governo una proroga fino a fine mese per fornire ulteriori chiarimenti e informazioni su eventuali procedimenti interni legati alla vicenda. Il riferimento è a quello del Tribunale dei ministri nei confronti della premier Giorgia Meloni, dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, e del sottosegretario Alfredo Mantovano. Un procedimento che si è concluso con una archiviazione per la presidente del Consiglio e per un diniego a procedere in giudizio per gli altri tre imputati, grazie al voto dell’Aula della Camera dei deputati con una maggioranza che in certi casi è andata oltre i soli voti del centrodestra, includendo Italia viva, Azione e forse qualche dem.
Intanto alla Cpi è arrivata anche un'altra denuncia che riguarda leader italiani e europei: due avvocati hanno depositato una memoria in cui accusano oltre cento funzionari Ue di complicità nella commissione di crimini contro l'umanità nei confronti di migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Tra i leader sotto accusa, anche gli ex premier Renzi, Gentiloni e Conte, i ministri Alfano, Minniti e Salvini, oltre all'ex cancelliera tedesca Angela Merkel e al presidente Francese Macron.

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