In preghiera con la famiglia di Armani: «Si interrogava sul senso della vita»
Monsignor Scotti, chiamato a casa dello stilista in via Borgonuovo quando era appena morto, racconta le sue brevi visite nella chiesa di San Francesco di Paola e la commozione di parenti e amici

«Quando mi hanno chiamato, Giorgio Armani era spirato da pochi minuti. Vestito di tutto punto era steso sul letto. I suoi occhiali a proteggere gli occhi ormai chiusi alle cose belle di questo mondo e quasi tesi, protesi, a scrutare il bello di Colui che “fa belle tutte le cose”». Era il primo pomeriggio di giovedì quando monsignor Giuseppe Scotti, è stato chiamato a casa del “re” della moda italiana. Una piccola folla di persone stazionava in via Borgonuovo, davanti alla casa di Armani: due macchine dei vigili urbani, con quattro agenti, a controllare la situazione. Già c’erano le prime televisioni e i primi giornalisti che arrivano appena appresa la notizia. «Lì nella sua camera con la sorella, i parenti, gli amici e i più stretti collaboratori – continua monsignor Scotti – abbiamo pregato con la preghiera tipica della chiesa per i defunti. Abbiamo chiesto che il Signore gli doni “l’eterno riposo” e poi, dopo averlo segnato con il segno della croce sulla fronte, così come avviene nel battesimo, ho benedetto la salma. Istanti di intenso raccoglimento, di lacrime vere, gratuite, colme di riconoscenza. E questo mi ha spinto a dire ai suoi collaboratori, ai suoi amici, che si stringevano attorno a lui nella stanza ormai troppo piccola, una parola. Questo è il tempo per dire “grazie” per quello che Giorgio è stato, ha realizzato, ha donato a ciascuno di loro e a Milano, a questa nostra amata città».
Intanto, fuori dalla casa arriva altra gente. I media hanno dato la notizia della morte di Armani, ma in casa non ce ne si accorge. Si prega. «Non ci siamo resi conto che il tempo passava perché eravamo tutti lì con il cuore, gli occhi umidi di lacrime vere, pulite. E la preghiera che Gesù ci ha insegnato, il Padre Nostro, è stato un vero colloquio con il Padre di Gesù e Padre Nostro che conosce il segreto del cuore. Una preghiera che vince ogni paura, al punto che un suo stretto collaboratore, accompagnandomi nuovamente fuori dalla casa, ha confessato a sé stesso e a me che pur nel dolore del distacco, quello era stato “un momento molto bello”. Un tempo diverso. Una mezz’ora di intensa verità sulla vita».
«Questo è il tempo per dire grazie per quello che Giorgio è stato, ha realizzato, ha donato a ciascuno di loro e a Milano, questa nostra amata città»

Monsignor Giuseppe Scotti, Segretario della Conferenza episcopale lombarda e Responsabile dei Beni culturali della diocesi di Milano, abita nella parrocchia di San Francesco di Paola, in via Manzoni, pieno centro di Milano. Uno degli ingressi laterali della chiesa affaccia su via Montenapoleone, nelle immediate vicinanze di una delle sedi di Armani. E Giorgio, spiega il sacerdote già Segretario del Pontifico Consiglio delle Comunicazioni Sociali, nonché Presidente della Libreria Editrice Vaticana e primo Presidente della Fondazione “Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”, era solito entrare in chiesa per qualche momento di riflessione e raccoglimento. Una fede sobria, come la sua moda, non ostentata e però forse anche per questo ancora più vera. E anche per questo don Scotti fatica non poco a raccontare il suo rapporto con il grande stilista. «Non c’è molto da dire – insiste – se non che quando lo trovavo in chiesa ci scambiavamo idee e riflessioni. Era molto riservato ma si intuiva che dietro alla sua discrezione c’era una persona che si interrogava sul senso della vita, sulla fede. E io mi dicevo che in questa “periferia esistenziale” – come diceva papa Francesco – il Signore ha un popolo grande. Numeroso. Ben al di là dei nostri schemi, forse ancora troppo clericali, e del nostro modo di vedere». La parrocchia di San Francesco di Paola affaccia proprio su quella che è considerata la via della moda per eccellenza di Milano, via Montenapoleone. Una strada così famosa, (anche a livello internazionale) che, negli anni ’80 un film sul mondo del fashion venne intitolato proprio così: un mondo dipinto come veloce e spesso superficiale. «Invece lui era un uomo di idee profonde – racconta ancora monsignor Scotti – e non aveva paura di confrontarsi senza timore di mettersi anche in discussione. Il semplice fatto che mi abbiano chiamato dice che i suoi più stretti collaboratori sapevano chi era. Le loro lacrime e la loro preghiera non erano di circostanza». Per questo i dialoghi tra il sacerdote e lo stilista erano diventati se non un appuntamento fisso, un momento di scambio che non si è mai interrotto fino all’altro giorno. «Mi è spiaciuto molto che sia morto – conclude monsignor Scotti – perché era un uomo con cui si poteva parlare con libertà e che aveva una curiosità che non si è mai spenta anche sul senso della vita e sul dopo perché la morte non è la fine di tutto».
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