I boschi feriti dalla tempesta Vaia a sorpresa si stanno rigenerando

A fine ottobre 2018 la furia del vento ha abbattuto milioni di alberi. E nella riforestazione artificiale delle aree danneggiate ci si è accorti che le dinamiche naturali sono più rapide e spontanee
August 25, 2025
I boschi feriti dalla tempesta Vaia a sorpresa si stanno rigenerando
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Anche i turisti più distratti della val di Fiemme hanno visto quest’anno rifiorire di verde i fianchi delle montagne ridotti per qualche stagione a grigi cimiteri di alberi schiantati dalla furia di Vaia come fossero bastoncini shangai. Quella tempesta di fine ottobre 2018 è già entrata nell’immaginario popolare delle valli trentine, raffigurata come principessa cattiva o drago vendicativo, ma non è una leggenda quanto si è concretizzato in questi ultimi anni nell’opera di rimboschimento, oggetto di studio e d’interesse popolare, cattedra di etica ambientale a cielo aperto. Per tanti ragazzi delle scuole, ma anche adulti, gruppi e associazioni che l’hanno perfino finanziata, l’impresa collettiva della rinascita della foresta sta rivelandosi straordinaria opportunità per ricavare da un evento climatico estremo un appassionante percorso di consapevolezza ecologica.
«Attraverso incontri sul territorio, conferenze e uscite sul campo abbiamo cercato di sfruttare quest’attività in corso da cinque anni per una comunicazione corretta, per sensibilizzare sui molteplici benefici di una corretta gestione forestale per la collettività: dove non c’è più bosco c’è meno protezione, meno acqua, meno biodiversità», è la premessa di Andrea Bertagnolli, direttore dell’Ufficio Tecnico della storica Magnifica Comunità di Fiemme, che fa il punto sulle ricadute sociali di quest’impresa ancora titanica: «Finora i nostri interventi, cominciati dopo la raccolta del materiale abbattuto, hanno portato al rimboschimento di 200 ettari di bosco (in tutto ne furono distrutti un migliaio sul territorio di competenza, ndr) , con un impegno economico importante che raggiunge ormai il milione di euro. In parte è stato coperto anche da associazioni private e enti che ne hanno compreso l’importanza». Un impegno rallentato dalla conseguente diffusione del bostrico sugli abeti rossi (l’epidemia dovuta a questo insetto è in fase calante, secondo l’ultimo rapporto della Provincia autonoma di Trento) e che si è giovato di strumenti di monitoraggio sempre più tecnologici: preziose le immagini dai satelliti che ogni settimana “fotografano” la ricrescita, così come l’utilizzo di droni per rilievi altrimenti impossibili. Fino a scelte progettuali di avanguardia scientifica, ispirate dagli studi sul cambiamento climatico.
Primo criterio: non si va a rimboschire ogni area danneggiata, perché in vaste zone, soprattutto a bassa quota, le dinamiche naturali sono rapide ed è bene che il bosco si riprenda spontaneamente, dove riesce. S’interviene con attenzione invece su zone prioritarie (per la loro funzione, ad esempio, di protezione di caduta sassi o valanghe) in cui il rimboschimento artificiale cerca di imitare le dinamiche naturali: non solo con la specie regina dell’abete rosso, ma inserendo percentuali più ampie di larice, pino silvestre, pino cimbro in alto quota, latifoglie come sorbo e acero a seconda del tipo di terreno. «Questa diversificazione ci consente di ricostituire boschi che siano più resistenti in futuro a temperature più alte: se una specie sarà in difficoltà, le altre garantiranno la continuità del bosco». Si sperimentano progetti studiati a livello europeo come le cosiddette “migrazioni assistite”: ad esempio, si prova a piantare il castagno che normalmente vegeta a 300 metri di quota più in basso.
S’insiste sulla provenienza locale dei semi, raccolti nei boschi della stessa Val di Fiemme e coltivati nei due vivai della Magnifica che producono ormai un centinaio di migliaia piantine all’anno. Si persegue anche una ricaduta economica: i lavori di rimboschimento vengono affidati alle stesse ditte già impiegate nella raccolta del legname abbattuto da Vaia, in modo da garantire una continuità occupazionale alla manodopera.
Ma “il bosco del futuro”, come s’intitola uno dei tanti microprogetti, non dovrà essere troppo uniforme, prevede altre specie arboree inserite a macchia di leopardo, e “lascia” spazi di radura a favore delle altre componenti dell’ecosistema forestale.
In alcuni casi, come nella foresta di Paneveggio sopra Predazzo, nota in tutto il mondo per il legno dei violini Stradivari, la rinascita della “foresta che suona” (un progetto finanziato da Soroptimist International d’Italia) favorisce le visite guidate e le esperienze didattiche. Vengono in mente le tradizionali “feste degli alberi”? «Esatto, lo spirito è ancora quello – afferma Mauro Gilmozzi, lo scario della Magnifica Comunità di Fiemme – ma in questo caso l’obiettivo è più ampio: far comprendere l’importanza della gestione per massimizzare tutti i servizi che il bosco rende all’ecosistema, secondo il compito storico della nostra Comunità». Quest’istituzione di autogoverno che vanta quasi mille anni di storia “aggiorna” così la sua funzione di salvaguardia dei beni naturali e offre esperienze che vengono prese a modello anche dagli interventi condotti nelle altre valli del Trentino “frustate” da Vaia e nella vicina Provincia autonoma di Bolzano: al lago di Carezza, anche grazie a finanziamenti di ditte locali, si sono piantati centinaia di piante con diverse specie per creare anche qui un bosco misto, più forte alle malattie e alle condizioni climatiche estreme.

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