Gli errori, il fango, i 268 morti: «Vi racconto la strage di Stava»
di Redazione
Oggi alla presenza di Mattarella viene ricordato uno dei disastri più “rimossi” della storia recente. Graziano Lucchi, presidente della Fondazione Stava 1985: «Troppi gli errori compiuti»

Questa mattina il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà a Tesero, in Trentino, per la cerimonia in occasione del 40esimo anniversario del disastro di Stava, presso il Teatro comunale della località della Val di Fiemme. In questo racconto, diamo voce alla Fondazione Stava che da 40 anni fa memoria di quanto accaduto.
A distanza di 40 anni dalla strage della val di Stava quasi tutto è stato spiegato, dimostrato e ricostruito di quanto distrutto dalla gigantesca colata di fango che poco dopo il mezzogiorno del 19 luglio 1985 correva giù verso la val di Fiemme a una velocità di 90 chilometri all’ora, travolgendo quasi 300 persone e lasciando 268 vittime. Iprocessi si sono chiusi, le cicatrici di questa piccola valle laterale si sono rimarginate. Resta più indietro, molto più indietro la battaglia che da allora questo pezzo di Trentino porta avanti, una battaglia che oltre a tener vivo il ricordo punta a far riflettere su un tema decisamente più ampio e pervasivo: «Le responsabilità personali, gli effetti che un compromesso può avere sulla collettività, soprattutto se è un compromesso al ribasso». Come quello che si è consumato qui, in vent’anni di scavi, ruspe, allarmi ignorati e cautele sacrificate in nome del profitto o - peggio ancora - dell’inerzia.
Per Graziano Lucchi, presidente della Fondazione Stava 1985 (tra i promotori della tre giorni di celebrazioni che culmina con la visita in valle del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) la dimostrazione è nei 118 incidenti in miniera registrati un po’ ovunque nel mondo dall’85 a oggi: «Episodi che si sarebbero potuti evitare semplicemente con meno leggerezza da parte di chi ha preso decisioni senza esserne pienamente consapevole. O, ancora peggio, senza sentirne tutta la responsabilità».
Domani verrà ricordata qui a Tesero una strage che sembra più dimenticata di altre. Perché?
Ci siamo dati diverse spiegazioni. La prima, forse, è che da subito è stata una vicenda difficile da capire e da raccontare:qui non sono crollate dighe, non ci sono stati terremoti o inondazioni ma sono collassati due bacini di decantazione, in pratica due discariche di materiale estratto da una miniera che chiaramente - come hanno accertato i processi - non andavano costruite, non andavano costruite là e non andavano costruite di quelle dimensioni.
Oggi l’ambiente ci interessa e preoccupa molto più di ieri, ma pare davvero incredibile il silenzio che continua a circondare questa vicenda, così come gli allarmi inascoltati per anni.
Non sottovaluterei l’effetto rimozione. Quella naturale della comunità di Tesero, ma anche l’altra legata ai grandi interessi di natura economica che circondavano la miniera: penso ai vertici di Montedison, o a quelli della Provincia autonoma.
E veniamo agli allarmi, che per decenni in valle restarono lettera morta. Com’è potuto accadere?
Per comprendere fino in fondo la dinamica degli eventi occorre tornare alla val di Fiemme degli anni ‘50, quella dello spopolamento e della povertà: in quel contesto, i 100 posti di lavoro promessi sessant’anni fa dalla Montecatini in cambio del potenziamento della miniera erano una merce di scambio di estremo valore.
Tanto che l’azienda venne accolta a braccia aperte.
Il Comune di Tesero vendette i terreni dove è stata realizzata la prima vasca di decantazione a 35 lire al metro quadrato, quando i prezzi di mercato erano già a quota mille. È come se oggi tre ettari e mezzo passassero di mano per 20mila euro.
Un regalo.
Sì, pur di avere la miniera, i posti di lavoro e le cento famiglie che si sarebbero potute radicare qui:come si legge nelle carte ufficiali, il Comune sbandierava il progresso economico e sociale che l’attività avrebbe potuto portare, e che per questo andava appoggiata.
Ma dalla fine degli anni Sessanta le voci di chi denunciava i pericoli non sono mancate.
Sì, in particolare a metà anni ‘70 quando il Comune di Tesero espresse preoccupazioni all’autorità di riferimento, il Distretto minerario che da poco era passato sotto il controllo della Provincia autonoma. Sorprendentemente gli studi vennero affidati alla Montedison, poi girati al Comune senza alcun supplemento di indagine, anzi con una lettera in cui venivano ribadite le potenzialità dell’attività mineraria e dei suoi sviluppi.
E anche così si arrivò alla costruzione del secondo bacino, che venne alimentato fino al 1978 e poi di nuovo dal 1982 con materiale di scarico proveniente da Prestavel ma anche da altre aree.
Gli interessi economici continuarono, fino alla fine, a prevalere sui timori per una struttura che era diventata grande cinque volte i limiti consentiti e per di più realizzata su una pendenza del 25%. Sembra incredibile, ma è così: nonostante nel frattempo i posti di lavoro si fossero ridotti a 30-35 unità, evidentemente nessuno ha mai avuto il coraggio di dire basta.
Un film già visto, che sembra ripetersi nonostante i segnali di affaticamento che l’ambiente ci manda. Potrebbe succedere una nuova tragedia come quella della val di Stava?
Se mi guardo intorno vedo una coscienza diversa, difficilmente avrebbero potuto essere disboscati oltre tre ettari per costruire una discarica in quota.
E altrove?
In Italia per fortuna abbiamo poche miniere, anche se ora si sta valutando di riaprirle. Ma abbiamo 562 discariche abbandonate, e continuano a ripetersi episodi in cui la responsabilità umana è evidente: pensiamo al ponte Morandi, o alla tragedia del Mottarone.
Che cosa hanno in comune?
Una superficiale valutazione del rischio, a beneficio del profitto. Ma c’è anche un altro aspetto, più specifico: il guardare con troppa leggerezza alle responsabilità personali. Dietro alla tragedia della val di Stava ci sono decine di compromessi al ribasso, di passi indietro o di mancate iniziative. Quante volte tutto questo ancora capita, sotto i nostri stessi occhi. E quante volte ne siamo, più o meno consapevolmente, complici.
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