«È tornata la logica dei blocchi contrapposti. Colpa anche dell'Occidente»
di Diego Motta
Zamagni: si va verso un nuovo bipolarismo, in cui l'Europa potrà fare da ponte. Gli errori? Non aver sciolto la Nato quando finì il Patto di Varsavia e aver rinunciato al multilateralismo

«Si va verso un nuovo bipolarismo e l’Europa, se vuole recuperare la sua anima, dovrà fare da ponte tra questi mondi». Stefano Zamagni non ha nostalgie da secondo dopoguerra, «anche se la teoria della deterrenza, come già sosteneva Tucidide, è riuscita almeno per qualche decennio a garantire paradossalmente stabilità». Ora l’economista che ha presieduto per diversi anni la Pontificia Accademia delle Scienze sociali, dopo l’imponente parata militare che ha riempito ancora una volta piazza Tienanmen a Pechino, vede «da una parte il blocco della Nato, che è rimasto in piedi dopo la caduta del Muro quando avrebbe dovuto invece cedere il passo, vista la scomparsa del Patto di Varsavia; dall’altra il blocco composto da Cina, Russia e India, il cosiddetto blocco dello Sco, la Shanghai cooperation organization, cui fa riferimento il gruppo dei Paesi asiatici ed ex sovietici. Attenzione, però: non c’è solo Pechino dietro a questo piano».
Professor Zamagni, l’immagine di Xi Jinping nei panni del nuovo Mao Tse Tung ieri ha colpito molti osservatori, quasi fosse il regista di un nuovo ordine internazionale…
La Cina è di una furbizia diabolica, perché ha saputo tenere insieme in questi anni la presenza di un regime di tipo marxista con l’espansionismo utilitarista tipico dell’Occidente. Un fattore ha contemperato l’altro, frenandolo, senza dimenticare il peso del confucianesimo. Ma il blocco dello Sco oggi è molto più ampio: già oggi raggruppa il 40% della popolazione mondiale e circa il 25% del Pil. Se consideriamo anche i Paesi del Sud globale, arriviamo al 60% della popolazione mondiale e al 55% del Prodotto interno lordo del pianeta. Il paradosso è che questi Stati sono cresciuti e si sono sviluppati grazie all’Occidente e alla rivoluzione tecnologica. È stato un grave errore tenerli in condizione di sudditanza coloniale.
Qualche tempo fa, parlando col nostro giornale, lei disse che gli Usa di Trump avrebbero copiato la Cina: meno libertà, meno diritti, più barriere, più controllo. Si sarebbe aspettato un cambiamento di scena così repentino?
Non si possono imporre i valori con la forza. I dazi voluti dall’amministrazione repubblicana sono stati la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma la situazione, così come l’abbiamo vista in questi mesi negli Stati Uniti, non può durare a lungo. Lo capisco dall’atteggiamento dei miei studenti all’Università americana di Bologna, la John Hopkins, dove insegno. Sono studenti che fanno master e dottorati di ricerca e hanno capito che la politica trumpiana non produce gli effetti desiderati. Alla nuova religione del potere predicata, in modo assai controverso, alla Casa Bianca, preferiscono il pragmatismo, come tanti loro connazionali: la veloce uscita di scena di Elon Musk non dice nulla?
Per l’Occidente qual è stato l’inizio della fine, a suo parere?
Il primo grande errore è stato non sciogliere la Nato dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, una volta caduto il Muro. In 30 anni l’Alleanza atlantica ha così proseguito la sua strategia, fino al recente maxi-piano di riarmo, finendo col far credere che l’Occidente avesse una volontà egemonica sul resto del mondo. In secondo luogo, i Paesi in via di sviluppo sono cresciuti molto, grazie anche all’aiuto dell’Occidente. Prima o poi, doveva arrivare il momento della resa dei conti. Questi Paesi vogliono contare e vogliono contarsi, come si è visto. Noi abbiamo pensato di tenerli sotto la nostra ala protettiva, sbagliando clamorosamente. Qui si innesca il terzo, decisivo errore: l’aver confuso il multipolarismo con il multilateralismo. Abbiamo garantito il primo, ma non il secondo, e invece le due cose dovevano accompagnarsi. Le regole del governo del mondo vanno fissate da tutti, altrimenti regna l’instabilità, che è ciò che sta accadendo. Se uno guarda al Consiglio di sicurezza dell’Onu, capisce subito che oggi, ancor più di ieri, il diritto di veto concesso a cinque Paesi è una vergogna.
Il diritto internazionale è stato dunque definitivamente superato? Ha vinto la logica del più forte?
Non sono così pessimista, in realtà, anche sull’esito di guerre drammatiche come quelle cui stiamo assistendo. Papa Francesco, prima della sua morte, chiedeva a noi della Pontificia accademia delle scienze sociali di ragionare su nuove regole multilaterali: un primo tentativo sarà il Jubilee report, il rapporto del Giubileo, che verrà presentato tra tre settimane all’assemblea dell’Onu. Ovviamente occorre cambiare la matrice culturale delle nostre politiche: abbandonare l’utilitarismo, secondo cui è lecito moralmente tutto ciò che aumenta il profitto, mentre intenzioni e bene comune non contano, per tornare all’etica della virtù. In questo senso, vedo possibile un nuovo risorgimento per il mondo cattolico. L’Occidente dovrà prima o poi tornare alla lezione di Aristotele, applicando il modello della democrazia deliberativa: i cittadini vogliono un governo che operi con loro, non solo per loro.
Sullo sfondo resta l’Europa, che pare essere diventata un attore marginale…
Se ci fossero nuovi leader politici, con la P maiuscola, l’Europa si troverebbe davanti a una grande occasione e potrebbe avere un ruolo fondamentale. Giovanni Paolo II diceva che il Vecchio continente doveva respirare con due polmoni, uno occidentale e l’altro orientale. L’Europa può davvero fare da ponte, come sostiene il nuovo codice di Camaldoli per l’Europa, suggerito dal cardinale Matteo Zuppi. È l’unico modo per uscire dalla logica dei nuovi blocchi contrapposti e per recuperare quel ruolo-chiave che ha sempre ricoperto nel corso dei secoli. Senza più perdere la sua anima.
Professor Zamagni, l’immagine di Xi Jinping nei panni del nuovo Mao Tse Tung ieri ha colpito molti osservatori, quasi fosse il regista di un nuovo ordine internazionale…
La Cina è di una furbizia diabolica, perché ha saputo tenere insieme in questi anni la presenza di un regime di tipo marxista con l’espansionismo utilitarista tipico dell’Occidente. Un fattore ha contemperato l’altro, frenandolo, senza dimenticare il peso del confucianesimo. Ma il blocco dello Sco oggi è molto più ampio: già oggi raggruppa il 40% della popolazione mondiale e circa il 25% del Pil. Se consideriamo anche i Paesi del Sud globale, arriviamo al 60% della popolazione mondiale e al 55% del Prodotto interno lordo del pianeta. Il paradosso è che questi Stati sono cresciuti e si sono sviluppati grazie all’Occidente e alla rivoluzione tecnologica. È stato un grave errore tenerli in condizione di sudditanza coloniale.
Qualche tempo fa, parlando col nostro giornale, lei disse che gli Usa di Trump avrebbero copiato la Cina: meno libertà, meno diritti, più barriere, più controllo. Si sarebbe aspettato un cambiamento di scena così repentino?
Non si possono imporre i valori con la forza. I dazi voluti dall’amministrazione repubblicana sono stati la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma la situazione, così come l’abbiamo vista in questi mesi negli Stati Uniti, non può durare a lungo. Lo capisco dall’atteggiamento dei miei studenti all’Università americana di Bologna, la John Hopkins, dove insegno. Sono studenti che fanno master e dottorati di ricerca e hanno capito che la politica trumpiana non produce gli effetti desiderati. Alla nuova religione del potere predicata, in modo assai controverso, alla Casa Bianca, preferiscono il pragmatismo, come tanti loro connazionali: la veloce uscita di scena di Elon Musk non dice nulla?
Per l’Occidente qual è stato l’inizio della fine, a suo parere?
Il primo grande errore è stato non sciogliere la Nato dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, una volta caduto il Muro. In 30 anni l’Alleanza atlantica ha così proseguito la sua strategia, fino al recente maxi-piano di riarmo, finendo col far credere che l’Occidente avesse una volontà egemonica sul resto del mondo. In secondo luogo, i Paesi in via di sviluppo sono cresciuti molto, grazie anche all’aiuto dell’Occidente. Prima o poi, doveva arrivare il momento della resa dei conti. Questi Paesi vogliono contare e vogliono contarsi, come si è visto. Noi abbiamo pensato di tenerli sotto la nostra ala protettiva, sbagliando clamorosamente. Qui si innesca il terzo, decisivo errore: l’aver confuso il multipolarismo con il multilateralismo. Abbiamo garantito il primo, ma non il secondo, e invece le due cose dovevano accompagnarsi. Le regole del governo del mondo vanno fissate da tutti, altrimenti regna l’instabilità, che è ciò che sta accadendo. Se uno guarda al Consiglio di sicurezza dell’Onu, capisce subito che oggi, ancor più di ieri, il diritto di veto concesso a cinque Paesi è una vergogna.
Il diritto internazionale è stato dunque definitivamente superato? Ha vinto la logica del più forte?
Non sono così pessimista, in realtà, anche sull’esito di guerre drammatiche come quelle cui stiamo assistendo. Papa Francesco, prima della sua morte, chiedeva a noi della Pontificia accademia delle scienze sociali di ragionare su nuove regole multilaterali: un primo tentativo sarà il Jubilee report, il rapporto del Giubileo, che verrà presentato tra tre settimane all’assemblea dell’Onu. Ovviamente occorre cambiare la matrice culturale delle nostre politiche: abbandonare l’utilitarismo, secondo cui è lecito moralmente tutto ciò che aumenta il profitto, mentre intenzioni e bene comune non contano, per tornare all’etica della virtù. In questo senso, vedo possibile un nuovo risorgimento per il mondo cattolico. L’Occidente dovrà prima o poi tornare alla lezione di Aristotele, applicando il modello della democrazia deliberativa: i cittadini vogliono un governo che operi con loro, non solo per loro.
Sullo sfondo resta l’Europa, che pare essere diventata un attore marginale…
Se ci fossero nuovi leader politici, con la P maiuscola, l’Europa si troverebbe davanti a una grande occasione e potrebbe avere un ruolo fondamentale. Giovanni Paolo II diceva che il Vecchio continente doveva respirare con due polmoni, uno occidentale e l’altro orientale. L’Europa può davvero fare da ponte, come sostiene il nuovo codice di Camaldoli per l’Europa, suggerito dal cardinale Matteo Zuppi. È l’unico modo per uscire dalla logica dei nuovi blocchi contrapposti e per recuperare quel ruolo-chiave che ha sempre ricoperto nel corso dei secoli. Senza più perdere la sua anima.
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