È stato identificato l'uomo che minacciava don Mattia Ferrari
di Giulio Isola
È un dirigente informatico collegato a Frontex. A processo Robert Brytan, un passato da guardacoste in Canada

È il dirigente di una società informatica con accesso all’archivio riservato di Frontex il presunto colpevole delle minacce a don Mattia Ferrari. E’ stato identificato dopo una indagine in campo internazionale. Il processo si aprirà a Modena il 5 novembre. L’imputato è Robert Brytan, nato in Polonia, residente in Germania, ma con cittadinanza del Canada dove ha svolto servizio nella Guardia Costiera e poi rientrato in Europa, inizialmente come assistente di un europarlamentare polacco. Attualmente, risulta lavorare per una società che fornisce piattaforme software a Frontex, l'agenzia europea per il controllo delle frontiere.
Secondo fonti investigative italiane l’uomo si presenta come “Direttore del Dipartimento Data Center presso Asseco Business Solutions”, anche se la compagnia - che non ha mai risposto alle richieste dei media - segnala ora ad Avvenire che si tratta di uno scambio di persona. Secondo l’accusa, Brytan gestirebbe almeno due profili twitter: @rgowans e @Up_yours_Haftar, quest’ultimo intestato a una inesistente avvocata irlandese di nome “Caroline Frampton”.
La procura di Modena, dopo indagini condotte anche in ambito internazionale, ritiene di avere in mano tutti gli elementi per un processo, ma non è detto che Brytan si presenterà alle udienze. Il dirigente informatico è custode di molte informazioni riservate e fra l’altro dovrebbe spiegare il perché e come avrebbe fatto a ottenere informazioni e immagini usate sui social network, provenienti da fonti di intelligence a cui, in teoria, non dovrebbe avere accesso.
“Si tratta di un primo importante risultato ottenuto dopo una richiesta di avocazione, una richiesta di archiviazione, una imputazione coatta, la richiesta di emettere un ordine di indagine europeo e numerosi ulteriori passaggi procedurali”, spiega l’avvocata Francesca Cancellaro che assiste don Mattia Ferrari. “Un percorso a ostacoli in cui abbiamo creduto in questi anni e che alla fine ci ha permesso di identificare il titolare dell’account”. In ballo non ci sono le minacce al sacerdote modenese, cappellano di “Medieterranea” e coordinatore dell’Incontro mondiale dei movimenti popolari in Vaticano. “La vicenda va evidentemente oltre quella di don Mattia Ferrari, come testimonia l’interesse e l’allarme che l’account @rgowans suscita a livello nazionale e internazionale - osserva Cancellaro -, anche per la sua capacità di diffondere contenuti ufficiali e riservati relativi ai rapporti tra Italia e Libia”.
Determinante per seguire le tracce di Brytan è stato il lavoro anche del “JLProject”, un collettivo che realizza indagini forensi per aiutare legalmente le persone catturate in mare e respinte in Libia e che in mesi di lavoro era riuscito a trovare le tracce che portano a Brytan.
A sostegno delle indagini era intervenuta il 28 marzo 2024 anche la presidente della Commissione Ue, rispondendo alle richieste di un gruppo di 16 europarlamentari italiani, tra cui la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno. A dimostrazione che la vicenda supera i già ampi confini dei social network, Ursula Von Der Leyen ribadiva che «le attività online dell’account rimangono preoccupanti e deplorevoli», confermando che «le autorità italiane stanno indagando sulla questione e ci aspettiamo che venga assicurato il necessario seguito».
Più volte il profilo @rgowans oltre a farsi portavoce degli esponenti delle “polizie libiche”, compresa quella del generale Almasri ricercato dalla Corte penale internazionale e riportato in Libia dalle autorità italiane dopo l’arresto avvenuto a Torino lo scorso 19 gennaio, ha interagito con Neville Gafà (ex capo dello staff dell’allora premier maltese laburista Muscatt) indicato dalla commissione pubblica d’inchiesta di Malta come uno dei fautori della «propaganda denigratoria» che nel 2017 ha preceduto l’uccisione della giornalista Daphne Caruana Galizia, che non a caso indagava sulle trame a base di idrocarburi e altri affari sporchi nel Mediterraneo centrale. Gafà era stato processato a Malta di iniziativa della polizia de La Valletta per minacce ad "Avvenire", poi prosciolto per insufficienza di prove.
Su @rgowans erano state avviate indagini anche in altre procure italiane dopo segnalazioni di polizia per minacce via social a giornalisti. Il 23 giugno del 2023 il Guardasigilli Carlo Nordio, l’unico tra i ministri degli ultimi cinque governi a parlare di «esponenti della mafia libica», riferendosi a uomini delle autorità tripoline sottoposti a sanzioni dal Consiglio di sicurezza Onu, rispondendo a un’interrogazione del segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, aveva fatto il nome della persona poi effettivamente indagata. «Il profilo di identità “virtuale” Robert Brytan - spiegava Nordio - risulterebbe quello di un cittadino canadese poliglotta, con trascorsi giovanili nella guardia costiera della marina canadese, appassionato di tematiche legate alla migrazione per mare, che ha vissuto in una città della Germania orientale, che ha parenti in Polonia, che ha avuto un pregresso periodo di impiego quale assistente di un europarlamentare polacco e che attualmente lavorerebbe per una società polacca che sviluppa software». Da due anni, dunque, anche le autorità politiche conoscevano il nome dell’uomo i cui legami con gruppi libici e fonti istituzionali in Europa sono ancora da chiarire.
Su questa vicenda abbiamo ricevuto una lettera da Frontex, a cui risponde il direttore Marco Girardo.
Le minacce a don Mattia Ferrari e la precisazione di Frontex
Gentile direttore,
le scrivo in riferimento all’articolo pubblicato su “Avvenire” il 24 ottobre 2025, intitolato «È stato identificato l’uomo che minacciava don Mattia Ferrari». L’articolo contiene affermazioni false e gravemente fuorvianti che devono essere corrette con urgenza. Nel testo si sostiene che il presunto autore delle minacce online contro don Mattia Ferrari sia «un dirigente informatico legato a Frontex» e «il responsabile di un’azienda con accesso all’archivio riservato di Frontex». Queste affermazioni sono del tutto infondate. Nessuna persona con tale nome ha mai lavorato per Frontex, né ha mai rappresentato l’Agenzia o avuto accesso ai suoi sistemi o dati. I fatti sono molto chiari. Si tratta di due persone diverse che condividono lo stesso nome. A causa di un giornalismo superficiale e privo di verifiche minime, un ingegnere informatico innocente è stato ingiustamente collegato a un’altra persona accusata di gestire determinati account sui social media. Non esiste alcun legame con Frontex. Nessuno. È sorprendente che accuse tanto gravi siano state pubblicate senza alcuna verifica di base. Frontex non è stata contattata per un commento prima della pubblicazione. Si tratta di una grave mancanza di diligenza giornalistica e di una violazione dei principi di verità e correttezza nei confronti delle persone coinvolte. Chiediamo pertanto che “Avvenire” pubblichi immediatamente una rettifica chiara e visibile che specifichi l’assenza totale di qualunque legame tra la persona menzionata nell’articolo e Frontex. La rettifica deve avere pari evidenza rispetto all’articolo originale. Attendiamo una conferma scritta una volta pubblicata la rettifica.
Cordiali saluti, Chris Borowsky
Frontex
le scrivo in riferimento all’articolo pubblicato su “Avvenire” il 24 ottobre 2025, intitolato «È stato identificato l’uomo che minacciava don Mattia Ferrari». L’articolo contiene affermazioni false e gravemente fuorvianti che devono essere corrette con urgenza. Nel testo si sostiene che il presunto autore delle minacce online contro don Mattia Ferrari sia «un dirigente informatico legato a Frontex» e «il responsabile di un’azienda con accesso all’archivio riservato di Frontex». Queste affermazioni sono del tutto infondate. Nessuna persona con tale nome ha mai lavorato per Frontex, né ha mai rappresentato l’Agenzia o avuto accesso ai suoi sistemi o dati. I fatti sono molto chiari. Si tratta di due persone diverse che condividono lo stesso nome. A causa di un giornalismo superficiale e privo di verifiche minime, un ingegnere informatico innocente è stato ingiustamente collegato a un’altra persona accusata di gestire determinati account sui social media. Non esiste alcun legame con Frontex. Nessuno. È sorprendente che accuse tanto gravi siano state pubblicate senza alcuna verifica di base. Frontex non è stata contattata per un commento prima della pubblicazione. Si tratta di una grave mancanza di diligenza giornalistica e di una violazione dei principi di verità e correttezza nei confronti delle persone coinvolte. Chiediamo pertanto che “Avvenire” pubblichi immediatamente una rettifica chiara e visibile che specifichi l’assenza totale di qualunque legame tra la persona menzionata nell’articolo e Frontex. La rettifica deve avere pari evidenza rispetto all’articolo originale. Attendiamo una conferma scritta una volta pubblicata la rettifica.
Cordiali saluti, Chris Borowsky
Frontex
Gentile Chris Borowsky,
grazie per la sua lettera, che fornisce l’occasione per tornare su una notizia così rilevante, in vista del processo che si aprirà a Modena il 5 novembre. Fino ad ora Frontex non ha mai risposto neanche ai parlamentari europei (prima firmataria la vicepresidente dell’Europarlamento, Pina Picierno). Lei scrive: «Nessuna persona con tale nome ha mai lavorato per Frontex, né ha mai rappresentato l’Agenzia o avuto accesso ai suoi sistemi o dati. I fatti sono molto chiari». In realtà “Avvenire”, con i colleghi che si sono occupati del caso, non ha mai scritto che la persona indagata sia un dipendente di Frontex ma, tra le piste seguite dalla magistratura italiana che ha fissato la data di apertura del procedimento in aula, vi è quella di un dipendente di una società esterna che lavora per Frontex. Lei aggiunge: «Si tratta di due persone diverse che condividono lo stesso nome». Questo ci fa desumere che Frontex abbia svolto delle indagini di cui non ha reso pubblici fino ad ora i risultati che, ci auguriamo, verranno da voi messi a disposizione della magistratura italiana. Inoltre, ci rimprovera per «una grave mancanza di diligenza giornalistica» e anche «una violazione dei principi di verità e correttezza nei confronti delle persone coinvolte». Prendiamo atto che Frontex voglia difendere quelle che lei definisce «persone coinvolte», di cui dunque Frontex conosce l’identità. Ma quello che probabilmente le verifiche interne di Frontex non hanno appurato è che “Avvenire” si è rivolto per le vie formali alla società informatica appaltatrice di Frontex, non avendo mai ottenuto risposta, come del resto altre testate internazionali per quasi due anni. Infine, ciò che la sua lettera omette è la fonte ufficiale principale dell’identificazione, che non è “Avvenire”, ma il ministro della Giustizia italiano, Carlo Nordio. In una comunicazione al Parlamento del 23 giugno 2023, così dichiarava: «Il profilo di identità “virtuale” Robert Brytan risulterebbe quello di un cittadino canadese poliglotta, con trascorsi giovanili nella guardia costiera della marina canadese, appassionato di tematiche legate alla migrazione per mare, che ha vissuto in una città della Germania orientale, che ha parenti in Polonia, che ha avuto un pregresso periodo di impiego quale assistente di un europarlamentare polacco e che attualmente lavorerebbe per una società polacca che sviluppa software». Che si sia trattato di un malaugurato e spiacevole scambio di persona, dunque non saremo noi ad escluderlo e ne abbiamo dato conto nei nostri servizi. Tuttavia, ad oggi non risulta che Frontex, così sollecita nel tentare di impartire lezioni di giornalismo, abbia mai denunciato per vie giudiziarie il “vero” Robert Brytan, chiunque esso sia, il quale ha divulgato sui suoi profili social informazioni e materiale documentale ad uso interno di Frontex. (m.gir.)
grazie per la sua lettera, che fornisce l’occasione per tornare su una notizia così rilevante, in vista del processo che si aprirà a Modena il 5 novembre. Fino ad ora Frontex non ha mai risposto neanche ai parlamentari europei (prima firmataria la vicepresidente dell’Europarlamento, Pina Picierno). Lei scrive: «Nessuna persona con tale nome ha mai lavorato per Frontex, né ha mai rappresentato l’Agenzia o avuto accesso ai suoi sistemi o dati. I fatti sono molto chiari». In realtà “Avvenire”, con i colleghi che si sono occupati del caso, non ha mai scritto che la persona indagata sia un dipendente di Frontex ma, tra le piste seguite dalla magistratura italiana che ha fissato la data di apertura del procedimento in aula, vi è quella di un dipendente di una società esterna che lavora per Frontex. Lei aggiunge: «Si tratta di due persone diverse che condividono lo stesso nome». Questo ci fa desumere che Frontex abbia svolto delle indagini di cui non ha reso pubblici fino ad ora i risultati che, ci auguriamo, verranno da voi messi a disposizione della magistratura italiana. Inoltre, ci rimprovera per «una grave mancanza di diligenza giornalistica» e anche «una violazione dei principi di verità e correttezza nei confronti delle persone coinvolte». Prendiamo atto che Frontex voglia difendere quelle che lei definisce «persone coinvolte», di cui dunque Frontex conosce l’identità. Ma quello che probabilmente le verifiche interne di Frontex non hanno appurato è che “Avvenire” si è rivolto per le vie formali alla società informatica appaltatrice di Frontex, non avendo mai ottenuto risposta, come del resto altre testate internazionali per quasi due anni. Infine, ciò che la sua lettera omette è la fonte ufficiale principale dell’identificazione, che non è “Avvenire”, ma il ministro della Giustizia italiano, Carlo Nordio. In una comunicazione al Parlamento del 23 giugno 2023, così dichiarava: «Il profilo di identità “virtuale” Robert Brytan risulterebbe quello di un cittadino canadese poliglotta, con trascorsi giovanili nella guardia costiera della marina canadese, appassionato di tematiche legate alla migrazione per mare, che ha vissuto in una città della Germania orientale, che ha parenti in Polonia, che ha avuto un pregresso periodo di impiego quale assistente di un europarlamentare polacco e che attualmente lavorerebbe per una società polacca che sviluppa software». Che si sia trattato di un malaugurato e spiacevole scambio di persona, dunque non saremo noi ad escluderlo e ne abbiamo dato conto nei nostri servizi. Tuttavia, ad oggi non risulta che Frontex, così sollecita nel tentare di impartire lezioni di giornalismo, abbia mai denunciato per vie giudiziarie il “vero” Robert Brytan, chiunque esso sia, il quale ha divulgato sui suoi profili social informazioni e materiale documentale ad uso interno di Frontex. (m.gir.)
(Articolo aggiornato il 28/10/2025 alle 19.25)
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