Dopo 10 anni il Rifugio diffuso per i migranti rischia di chiudere

Nuove regole non permettono l'inserimento precoce di rifugiati giovani e minori in famiglia, ma solo dopo un percorso in struttura. Così una delle migliori esperienze italiane può morire
September 23, 2025
Dopo 10 anni il Rifugio diffuso per i migranti rischia di chiudere
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«Eravamo tanti. Diversi per lingua, storia, sogni. Alcuni di noi erano arrivati in Italia da soli, altri con un fratello, qualcuno senza sapere nemmeno dove fosse Torino. Avevamo in comune una cosa sola: il bisogno di essere accolti. Rifugio Diffuso non ci ha dato solo un tetto. Ci ha dato famiglie. Famiglie vere, con cui abbiamo condiviso cene, risate, silenzi, paure. Famiglie che ci hanno insegnato a vivere in Italia, ma soprattutto a vivere con dignità. Quando ci hanno detto che il progetto rischiava di chiudere, il silenzio è stato assordante. Sembrava che ci stessero togliendo il terreno sotto i piedi. Le nostre facce erano vuote, come se qualcuno avesse spento la luce».
Sheik legge con qualche sosta per la commozione la lettera pubblica scritta con i suoi compagni. Ha 20 anni, viene dal Senegal ed è stato accolto nel progetto Rifugio diffuso a Torino. Una esperienza decennale a rischio chiusura nonostante gli elogi. Si tratta di un progetto decennale sperimentale con oltre 30 posti disponibili annui e che ha inserito oltre 180 persone con lo status di rifugiato - singoli e famiglie -, in famiglie e comunità parrocchiali accoglienti, un modello con riscontri molto positivi di inserimento sociale e professionale dei singoli beneficiari e di creazione di reti solidali e di accoglienza locali.
Una ricerca del Politecnico di Torino segnala che gli accolti sono in maggioranza maschi e per oltre il 50% compresi nelle fasce d’età inferiori ai 35 anni. Oltre la metà può dirsi integrato. Inserito nel Sai, il servizio di accoglienza nazionale costituito dalla rete degli enti locali, la sua gestione è stata affidata dal comune a diverse realtà del Terzo settore, tra cui la Migrantes diocesana che ha sollevato la questione sabato scorso in un dibattito all’interno del Festival dell’accoglienza. Cosa è successo? Ad aprile è entrato in vigore il nuovo Manuale Unico di rendicontazione Sai che fornisce una nuova definizione di accoglienza in famiglia esclusivamente come azione finalizzata alla conclusione dei progetti, rivolta ai soggetti che hanno avuto uno sviluppo positivo del loro percorso in centri, ma non permette di considerare quanto sia invece opportuno ed efficace l’inserimento precoce nei contesti familiari accoglienti. Si pensi ai neomaggiorenni che escono dai circuiti del Sai per minori soli. O a chi come Aladdin 21 anni, è arrivato dal Sudan a 17 anni con il progetto “Pagella in tasca”.
«Nel 2021 ero in Niger – racconta – in un campo profughi dell’Unhcr, evacuato dalla Libia. Mi ha accolto in Italia la famiglia Dentico che mi ha trattato come un figlio. I miei genitori sono dovuti fuggire dal Sudan per la guerra civile, ma siamo in contatto».
I Dentico – padre, madre e due figlie quasi coetanee di Aladdin – lo hanno aiutato a scuola e ad inserirsi e oggi il ragazzo sta concludendo le professionali e vuole proseguire. Sarebbe andata così se anziché in una famiglia accogliente fosse rimasto in un centro sovraffollato? La giunta torinese ha scritto una lettera al prefetto Rossana Rabuano, capo del dipartimento libertà civili e immigrazione, chiedendo approfondimenti sui criteri di sostenibilità e, attraverso l’assessore al welfare Rosatelli, si è detta disponibile a continuare a sostenere l’esperienza. «Ma così - osserva Sergio Durando, direttore della Migrantes diocesana - si rischia di legare il destino del progetto al colore della giunta torinese. Mentre la cornice nazionale del Sai garantirebbe continuità e parità di opportunità ai beneficiari con gli altri rifugiati». Il ministro dell’Interno Piantedosi è stato informato e l’onorevole Sandra Zampa ha garantito il suo impegno perché Rifugio diffuso non finisca.

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