Chi sono i coach di quartiere, che allenano i bimbi “fuori gioco”
Il progetto è partito da Bergamo dopo il Covid e si è esteso in dieci città: i beneficiari sono più di 600. In campo oltre 200 volontari. L'obiettivo: favorire movimento e inclusione

Cosa fa un “Coach di quartiere”? Si prende cura dei bambini rimasti “fuori gioco”, quelli che non fanno sport e che rischiano di passare i pomeriggi sul divano. L’iniziativa è nata cinque anni fa, durante il Covid. «Mentre eravamo in lockdown è apparso chiaro che poi ci sarebbe stato bisogno di ripartire, di rimettersi letteralmente in movimento. In primis i giovani, che cercavano un modo per dare il loro contributo» spiega Claudio Massa, fondatore dell’agenzia educativa L’Orma e ideatore del progetto. Quando c’è stata la possibilità di tornare all’aria aperta, nei parchi di Dalmine, vicino a Bergamo, sono comparsi i primi “coach”. Ragazzi dai 16 ai 18 anni, reclutati nelle scuole superiori del territorio, che hanno accettato con entusiasmo l’idea di mettersi a disposizione dei più piccoli. Poi sono arrivati anche nel capoluogo, dove - con il sostegno del Comune e della Fondazione della Comunità Bergamasca - in 5 anni hanno riempito il tempo libero di 85 bambini. La “fragilità sportiva” si contrasta così: organizzando nei parchi pubblici giochi tradizionali semplici e coinvolgenti come la bandierina, la staffetta, la palla prigioniera. Una strategia che mira a favorire non solo il movimento, ma anche l’inclusione di chi altrimenti starebbe a guardare. Per diversi motivi: economici - diversi genitori non possono permettersi l’iscrizione a corsi o squadre -, ma anche culturali e sanitari. «Tra i nostri bambini ci sono diversi stranieri, e molti che soffrono di disturbi dell’attenzione o dell’apprendimento, spesso non ancora diagnosticate» spiega Agnese Bigoni, una laurea in scienze pedagogiche e coordinatrice dell’area bergamasca. O meglio “playmaker”, come viene definita questa figura nell’ambito del progetto.
«Ora stiamo dialogando con la Chiesa - spiega Massa-. Formeremo gli animatori parrocchiali che usciranno dagli oratori e andranno anche nei parchi, con l’obiettivo di coinvolgere quei bambini che restano lontani dalle strutture pastorali». I “coach” di quartiere sono ormai diffusi in 10 città, tra cui Lodi e Legnano, per un totale di oltre giovani 200 volontari. Da poco il progetto è partito anche a Modena, presto ci sarà lo sbarco nell’hinterland milanese. «C’è bisogno del sostegno di tutti, i Comuni devono crederci. Per i giovani è un’occasione di fare qualcosa di importante per la comunità in cui vivono. I bambini li conoscono, li incontrano al supermercato. Di loro si fidano». Dal 2020 a oggi sono stati più di 600 i beneficiari compresi nella fascia d’età tra i 6 e i 10 anni, 345 le famiglie che hanno aderito, 17 le scuole primarie coinvolte. Proprio il ruolo delle maestre è fondamentale, perché aiutano a individuare quei bambini che non praticano nessuno sport e magari non ne hanno mai iniziato uno, e che sono esposti più dei coetanei a rischi di obesità e dipendenza da smartphone. I “coach” finiscono per allenare non solo loro ma, appunto, l’intero quartiere. Uno spirito di squadra che stimola il senso di appartenenza, e che valorizza gli spazi verdi urbani. Gli appuntamenti di Bergamo si tengono al Parco Diaz: qualche aiuola in mezzo ai palazzi, un paio di scivoli e un campo che più spelacchiato non si può. Ma ai “coach” basta poco per provare a vincere la sfida.
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