Almasri: le accuse della Libia, la posizione del governo italiano

di Nello Scavo e Matteo Marcelli
Il generale libico già sfuggito alla custodia dell'Aia era ricercato da alcuni giorni dopo essere stato estromesso da ogni incarico pubblico. Palazzo Chigi: già note a gennaio le volontà libiche
November 6, 2025
Almasri: le accuse della Libia, la posizione del governo italiano
Il generale libico Njeem Osama Almasri Habish in una foto senza data pubblicata dalla piattaforma fawaselmedia.com.ANSA/COURTESY FAWASELMEDIA.COM
Era nell’aria da mesi l’arresto del generale libico Almasri. Il governo di Tripoli sta facendo piazza pulita della milizia “Rada” e della “Polizia giudiziaria”, i gruppi armati originariamente affiliati alle istituzioni centrali ma che nella logica delle faide tripoline sono caduti in disgrazia. Gruppi che hanno intrattenuto rapporti privilegiati con Paesi come l’Italia, come dimostrato dal “rimpatrio di Stato” del generale, lo scorso 21 gennaio, dopo l’arresto a Torino, nonostante un mandato di cattura della Corte penale internazionale.
Il generale è stato fermato su ordine della procura della capitale libica, con l’accusa di avere personalmente eseguito torture e abusi sui detenuti. Una decina di superstiti alla prigionia lo hanno denunciato e le indagini, secondo gli inquirenti libici, hanno dimostrato che almeno in un caso le sevizie hanno deliberatamente provocato la morte di uno dei prigionieri.
Nei giorni scorsi il premier libico Dbeibah aveva promesso che Almasri sarebbe stato consegnato alla Corte penale internazionale, con cui la Libia ha firmato per la prima volta una intesa per la cooperazione giudiziaria. Ma non sarà un passaggio automatico. Almasri dovrà essere processato da Tripoli, dove resterà in ostaggio di logiche imprevedibili. «Sebbene non possiamo commentare le notizie – ha spiegato ad Avvenire una fonte dell’Aja –, la Corte penale internazionale lavora costantemente per mantenere una linea di comunicazione aperta con le autorità locali e migliorare la cooperazione». In altre parole, il generale non verrà estradato nell’immediato alla giustizia internazionale.
Una nota del procuratore di Tripoli precisa i contorni dell’operazione. A «seguito di investigazioni contro l’agente di polizia Osama al-Masri, il vice procuratore generale ha completato la raccolta di informazioni riguardo le violazioni dei diritti dei detenuti presso il centro di detenzione di Tripoli (il carcere di Mitiga, ndr), i quali hanno riferito all’Ufficio del Procuratore Generale di avere subito torture e trattamenti degradanti».
Nel comunicato delle autorità giudiziarie libiche viene spiegato che «lo scorso luglio, l’ufficio del procuratore generale aveva avviato le indagini» per indagare sui reati «relativi al mandato di arresto emesso dal Tribunale penale internazionale», e a cui l’Italia non aveva ottemperato. «La Corte penale internazionale aveva rivelato – precisa ancora la nota da Tripoli – di aver emesso un mandato di arresto il 18 gennaio, per crimini contro l’umanità e crimini di guerra». Il giorno dopo il generale venne arrestato a Torino, ma la notizia venne tenuta nascosta fino a quando, il 20 gennaio, non venne rivelata da Avvenire e confermata dal ministero della Giustizia italiano solo il 21 gennaio, quando ormai Almasri stava per essere accompagnato a Tripoli.
Nei mesi scorsi le autorità del Regno Unito - a quanto risulta ad Avvenire - hanno congelato diversi milioni di euro su conti di banche del Commonwealth riconducibili ad Almasri, che aveva ottenuto la cittadinanza della Dominica e circolava in Europa con documenti di identità autentici rilasciati dalla Turchia. Ma è anche dalla Germania che si attendono sviluppi. Da un momento all’altro la magistratura tedesca dovrebbe decidere sulla consegna all’Aja del braccio destro di Almasri, il comandante Al-Buti, arrestato nello scorso luglio mentre tentava di lasciare Berlino, dove si era recato per curare i suoi affari.
La nota del procuratore di Tripoli si conclude con una precisazione: «Poiché sono state raccolte prove sufficienti a sostegno delle accuse, la Procura ha deferito l’imputato, che rimane in custodia cautelare, presso il tribunale competente, per la sentenza». Dunque il generale rimane per il momento nelle mani di Tripoli.
Nei giorni scorsi Roma ha tentato di appianare le asperità annunciando una revisione delle norme che regolano la cooperazione con la Corte penale internazionale. Una mossa necessaria per evitare il deferimento dell’Italia all’assemblea degli Stati che fanno parte della Cpi o al Consiglio di sicurezza Onu. «L’esperienza maturata con il caso Almasri ha portato l’Italia - in tutte le sue articolazioni (Parlamento, governo e magistratura) - a intraprendere una revisione delle modalità con cui deve operare il sistema di cooperazione delineato dalla legge italiana», si legge nella nota del governo alla Corte dell’Aja, e questo per «ottemperare agli obblighi internazionali nei confronti di questa Corte, che l’Italia conferma di voler rispettare». Sotto i riflettori c’è la legge italiana sulla quale la stessa Corte d’Appello di Roma ha sollevato a sua volta una questione di legittimità, chiedendo alla Corte Costituzionale di esprimersi sulla necessità della richiesta di permesso al governo per arrestare un ricercato per crimini contro l’umanità. (Nello Scavo)
La posizione del governo italiano
La notizia dell’arresto di Osama Almasri in Libia sgretola l’impalcatura su cui Palazzo Chigi ha costruito la propria difesa pubblica sul caso. Puntellata da una ricostruzione ulteriore diffusa ieri, che però, come Avvenire ha potuto verificare, risulta quantomeno imprecisa. Fonti vicine all’esecutivo hanno spiegato a sera, dopo ore di silenzi, che Palazzo Chigi era «bene a conoscenza dell'esistenza di un mandato di cattura» della Procura di Tripoli a carico di Almasri, «già dal 20 gennaio 2025». E che in quella data la Farnesina aveva ricevuto una richiesta di estradizione da parte della Libia «pressoché contestualmente» all'emissione del mandato di cattura dell’Aja. È in virtù di quella richiesta, hanno proseguito le stesse fonti, che «il Governo ha giustificato alla Cpi la mancata consegna di Almasri e la sua immediata espulsione proprio verso la Libia». Dalla deposizione resa invece nei mesi scorsi dal generale Giovanni Caravelli, capo dell’Aise, al Tribunale dei ministri, risulta però che la richiesta di estradizione è arrivata alla Farnesina il 21 gennaio, cioè lo stesso giorno in cui è stato rimpatriato Almasri (preceduta da una nota verbale generica e priva della richiesta). Ma è pervenuta ufficialmente al ministero della Giustizia (competente) solo il 22. Senza contare che il generale è stato espulso, non estradato. Non a caso il rimpatrio su un aereo di Stato si è concluso con un’accoglienza trionfale del generale libico in patria. E comunque, sul piano politico, la notizia dell’arresto basta e avanza a incrinare la posizione tenuta fino adesso dall’esecutivo. Di sicuro frantuma le argomentazioni fornite da Matteo Piantedosi in aula sull’opportunità del rimpatrio di Almasri in quanto «soggetto pericoloso sul nostro territorio». Perché dimostra una volta di più che la pericolosità del generale era soprattutto legata al suo ruolo in Libia e non in Italia (dove peraltro era giunto per assistere a una partita di calcio a Torino). Senza contare che l’arresto è avvenuto ad appena un giorno dal via libera della giunta della Camera per sollevare davanti alla Consulta il conflitto di attribuzione nei confronti del Tribunale dei ministri e della Procura di Roma rispetto alla posizione del capo di gabinetto del ministero della Giustizia, Giusi Bartolozzi, indagata per falso proprio in merito al rilascio lampo del torturatore libico. Un timing perfetto per le opposizioni, che oltre all’onta del “rimpatrio di Stato” fornito al generale di Tripoli, guadagnano un ulteriore, solido argomento contro lo scudo giudiziario eretto a tutela del braccio destro del Guardasigilli. Mentre i legali di alcune delle vittime di Almasri annunciano di voler denunciare l’esecutivo. Il giudizio sull’operato della funzionaria di Via Arenula resta sospeso.
Naturalmente le opposizioni non hanno perso l’occasione per un attacco trasversale. Caustica la leader dem, Elly Schlein, che ha parlato di «una figura vergognosa a livello internazionale» per la quale il governo dovrebbe «chiedere scusa agli italiani». Mentre è chiaro – ha aggiunto citando con sarcasmo il ministro degli Esteri, Antonio Tajani – che «per la Libia il diritto internazionale non “vale fino a un certo punto”». Non meno duro il presidente pentastellato Giuseppe Conte: «Che umiliazione per il nostro governo», ha scritto sui social il presidente 5s, «ora diranno che anche la Procura generale in Libia è un nemico del governo? Che vergogna. Non è questa l'Italia». «Quello che non ha fatto il governo l’ha fatto la Libia», ha commentato il co-portavoce nazionale di Avs, Nicola Fratoianni. Mentre per Matteo Renzi «la giustizia libica sta spiegando a Meloni e Nordio come si fa. Il governo Meloni è il governo dell'ingiustizia».
Le opposizioni invocano a gran voce un’informativa urgente del governo sul caso. Una richiesta arrivata durante i lavori alla Camera con l’intervento del deputato M5s, Federico Cafiero De Raho, al quale si sono poi accodati tutti gli altri gruppi di minoranza. Per il momento non sono arrivate risposte in merito, solo repliche alle accuse, oltre al commento piuttosto scarno di Tajani: «Non me ne sto occupando». Per il partito della premier a rispondere alle opposizioni è stato l’eurodeputato Nicola Procaccini: «Contrordine compagni! Improvvisamente la sinistra riscopre la democrazia in Libia che diventa avamposto nella difesa dei diritti umani». Ragionamento simile al commento di Azione che, con il capogruppo alla Camera, Matteo Richetti, ha definito «altrettanto imbarazzante l’atteggiamento delle opposizioni», che sarebbero ondivaghe sulla linea rispetto alla Libia. Nessun commento, invece, dalla Lega.
Intanto, come detto, si muovono gli avvocati di alcune delle vittime del torturatore libico: «Sono felicissima, ma per lo Stato italiano è una grande figuraccia. Sono pronta a depositare una richiesta di risarcimento nei confronti della presidenza del Consiglio e dei ministri coinvolti in questa vicenda», annuncia Angela Bitonti, legale di una donna ivoriana, da anni residente in Italia e vittima delle sevizie di Almasri. «Dobbiamo capire quali potrebbero essere gli sviluppi a questo punto, se sarà processato lì oppure se potrà essere consegnato alla Corte penale internazionale - aggiunge -. Ho speranza che la mia assistita possa ottenere giustizia, ma in quanto cittadina italiana sono veramente delusa».   (Matteo Marcelli)  

© RIPRODUZIONE RISERVATA