«Ai giovani la politica interessa. Creiamo spazi per coinvolgerli»

Il presidente delle Acli, Manfredonia: «Non è vero che i ragazzi sono disinteressati alla partecipazione. Se non lavoriamo perché la pace sia una priorità allora diventa tutto più difficile»
September 27, 2025
«Ai giovani la politica interessa. Creiamo spazi per coinvolgerli»
Un patto con i giovani per favorire la partecipazione in politica e nelle associazioni anche in forme nuove. E la lotta per la pace che si accompagna alla dignità nel lavoro. Nella città di Giorgio la Pira, al termine della tre giorni di studio tradizionale delle dedicata alla democrazia e contrassegnata, tra incontri e dibattiti, da una marcia per la pace di centinaia di delegati fino all’Abbazia di San Miniato la sera di venerdì, accompagnati dalle riflessioni di padre Bernardo Gianni, dell’imam di Firenze Izzedin Elzir e da un messaggio del rabbino capo Gadi Piperno, il presidente delle Acli Emiliano Manfredonia interviene su alcuni punti cardine del mandato.
La ricerca dell’Iref presentata ieri su giovani e democrazia mostra una generazione di under 35 sorprendente per interessi e voglia di impegnarsi. Perché questo focus sui giovani?
Perché si dice spesso che non sono interessati alla partecipazione, invece la ricerca è sinceramente incoraggiante perché rivela il loro interesse ai temi del lavoro povero, alla pace, all’ambiente e ad altri temi che sfuggono in prima battuta anche all’interlocutore politico e alle associazioni come ad esempio il tema della salute mentale, l’accoglienza.
Cosa manca per coinvolgerli?
L’attivismo organizzato che dura nel tempo. Manca la politica, intesa come partecipazione non solo al voto, ma anche alla costruzione di cambiamenti. Non c’è la capacità delle associazioni e dei partiti, di attrarre i giovani e le loro energie. Abbiamo fatto un patto tra associazioni per impegnarci in modo forte verso le indicazioni che ci vengono date dai ragazzi. Abbiamo fatto una cosa simile otto giorni fa per gli 800 anni del Cantico delle Creature e i 10 anni dalla Laudato Si’ con il Movimento Laudato Si’, con tantissime associazioni abbiamo sottoscritto un patto di impegno verso il Creato, la giustizia sociale, la pace. La strada delle associazioni per coinvolgerli è far vedere che siamo in rete, che insieme possiamo costruire una base robusta dove possono sentirsi ascoltati, impegnarsi, avere voce e spazio. Ad esempio nelle Acli , che sono un’associazione generalista, possono fare molto. Noi vogliamo investire sull’esperienza del servizio civile che è una grande scuola di vita perché sia veramente una scuola di educazione civile, di impegno al bene comune. Noi stiamo nei paesi, nei quartieri, stare in un circolo Acli vuol dire impegnarsi per quella comunità, da questo punto di vista stiamo vivendo una bella stagione, però la preoccupazione è creare spazi perché i giovani possano avere un loro protagonismo.
A partire dalla carovana della pace, le Acli sono in prima fila contro la guerra. Che, però, pare aver vinto.
Non deve vincere. Purtroppo, anche quando si scendeva in piazza per la pace all’inizio dell’invasione dell’Ucraina ci chiamavano “putiniani”. Ma noi difendevamo i valori forti della pace. E avevamo ragione. Perché in tre anni la guerra è diventata strumento di pianificazione da parte di chi costruisce e progetta le armi. Ma come si può pianificare la guerra si può pianificare la pace.
Con quali azioni?
Per esempio creando il ministero della pace. In generale con gesti profetici con contenuti che poi possono ampliarsi. Se non lavoriamo perché la pace sia una priorità e il punto d’arrivo della giustizia, del sociale, dell’equità, del rispetto dell’ambiente, del dialogo, rispetto all’odio sociale diventa tutto più difficile. Spesso la pace viene giustificata con la guerra, ci dicono che dobbiamo armarci per mantenere la pace. Niente di più sbagliato. La pace si prepara con la pace. La nostra carovana si chiama Peace at Work perché la pace è al lavoro ovunque per costruire con fatica. La guerra è tutto il contrario. Distrugge tutto in un istante.
Ma un’economia fondata sul riarmo è inevitabile?
Sembra diventato quasi normale riarmarsi, ma invece è una follia. E purtroppo oggi siamo governati da persone che non hanno il coraggio della pace.
Come si stanno impegnando le Acli per Gaza?
Uno dei risvolti della guerra è quello del lavoro. Abbiamo quindi contatti con alcune aziende che stiamo supportando a Betlemme. I palestinesi già erano chiusi, ora sono ancor più privi di libertà di movimento. Avevamo invitato ad esempio 40 ragazzi della pastorale giovanile di Betlemme al Giubileo dei Giovanni. Non è stato possibile portarli perché era difficile per loro tornare a casa. Oggi l’opinione pubblica è indignata, ha capito finalmente che a Gaza c’è un genocidio in corso e si vogliono spostare le persone dalla propria terra. Iniziative come la Flotilla sono profetiche, vogliono aprire uno squarcio su un mondo oscuro. Noi li stiamo sostenendo come stiamo cercando di sostenere il parroco di Gaza padre Romanelli. Bisogna resistere.
Quale contributo possono dare le Acli contro l’antisemitismo?
Dobbiamo stare sempre in guardia contro queste derive. Nessuno deve prendersela con gli ebrei, dobbiamo lottare invece contro l’idea della guerra voluta da governi estremisti che portano alle estreme conseguenze le loro idee.

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