mercoledì 15 maggio 2019
La mobilitazione delle associazioni a difesa dei piccoli accolti da ogni parte del mondo. La «preoccupazione» della Commissione governativa per gli episodi di discriminazione
Bambini adottati dal Congo vengono accolti dalle famiglie (Ansa)

Bambini adottati dal Congo vengono accolti dalle famiglie (Ansa)

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La massima autorità che presiede alle adozioni internazionali (Cai) l’ha messo nero su bianco il 10 aprile scorso, con una nota sul suo sito in cui esprime «profonda preoccupazione per i recenti episodi di razzismo nei confronti di quei figli adottivi che a causa del colore della loro pelle vengono fatti oggetto di atti di bullismo e vessazione».

La Commissione non ha citato alcun episodio specifico, ma tutti ricorderanno ciò che è accaduto alla figlia 23enne di Paola Crestani, presidente di uno tra i più autorevoli enti per le adozioni internazionali, il Ciai di Milano. Shanthi lo scorso ottobre subì una grave offesa su un treno e la madre scrisse su Facebook: «Il mondo di oggi e del futuro è questo: un insieme di persone di tutti i colori, di diverse lingue, di culture differenti. Quindi, razzisti, che vi piaccia o no, avete già perso!».

Nemmeno le scuole sembrano un ambiente esente. Un sondaggio effettuato negli ultimi 4 anni tra gli associati dell’Unione Famiglie Adottive (Ufai) ha rivelato che l’84% dei figli di origine straniera ha subito saltuariamente offese, parolacce o insulti. In quattro casi su 10 la derisione ha riguardato il colore della pelle o l’etnia; in un minore numero di casi, l’aspetto fisico e le difficoltà di esprimersi nella nuova lingua. Il 71% dei ragazzi ha subito sistematicamente episodi di bullismo.

La stessa presidente di Ufai, Elena Cianflone, ha presentato denuncia ai Carabinieri per tutelare il figlio, di origini russe.

Le antenne delle famiglie adottive, dunque, sono alzate. E sono scattate il 28 aprile scorso, quando il ministro dell’Interno Matteo Salvini, durante un comizio a Cantù, fece salire alcuni bambini (brianzoli) sul palco e disse: «È questa l’Italia a cui stiamo lavorando, che i figli nascano in Italia e che non ci arrivino sui barconi dall’altra parte del mondo già confezionati (...) le sostituzioni di popoli con popoli non mi piacciono». Quelle parole non sono andate giù a molte famiglie adottive: sui social è iniziato un flusso di racconti, testimonianze, fotografie di «figli confezionati» accolti da ogni parte del mondo.

La stessa Ufai il 7 maggio ha inviato un esposto al presidente Mattarella, chiedendo un intervento autorevole perché si moderino «i toni di una propaganda politica che mai deve contraddire i fondamenti della nostra Costituzione, per i quali tutti i bambini hanno uguali diritti e pari dignità». E Silvia Buzzone, consigliera dell’associazione Mamme per la pelle, ha presentato su Facebook la sua bellissima bambina, arrivata dall’Africa «già confezionata»: «Caro ministro – scrive in un post –, i bambini non si toccano! E noi saremo qui a difendere i nostri figli e quelli di tutti da ogni tipo di discriminazione e cattiveria».

Il sito dell’associazione di cui fa parte (mammeperlapelle.it) raccoglie segnalazioni di atti di discriminazione subiti dai bambini a causa del colore della pelle. La stessa vicepresidente, Maria Elena Poderati, in un video-appello a Salvini presenta il suo Leonardo, arrivato a Lampedusa su un barcone quando aveva pochi mesi di vita. «Come lui ci sono moltissimi bambini, tutti arrivati dall’Africa: Alicia, Victoria, Joseph, Naiva... Cosa gliene pare? Sono proprio carini, vero?».

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