mercoledì 6 dicembre 2017
Non riconosciuti alla nascita, chiedono il diritto alle origini. La legge prevede il parto in anonimato, garantendo così alle madri di restare segrete per sempre
I 400mila figli di NN chiedono il diritto a conoscere la madre
COMMENTA E CONDIVIDI

Aveva 16 anni quando rimase incinta, ed erano tempi di stigma, la lettera scarlatta imprimeva ancora il giudizio e la vergogna sulla fronte delle ragazze madri. Così la fecero partorire lontano dal paese e poi le annunciarono che la sua bambina era nata morta. Decenni più tardi un addetto del Tribunale dei Minori di Firenze la contattò e le chiese a bruciapelo se era disposta a conoscere sua figlia. Tsunami di emozioni, dolore e amore, paura e desiderio. Poi l’abbraccio: «Mi avevano detto che eri morta, non mi sono mai sposata...». Era il 2014 ed era la prima volta che si concedeva a un 'figlio di NN' di risalire a chi l’aveva messo al mondo ma, legittimamente, non lo aveva riconosciuto.

Oggi sono 400mila le persone non riconosciute alla nascita che attendono di sapere chi sono, ma la legge che darebbe loro il diritto di provarci è ferma da anni in Parlamento, imbrigliata in un iter tormentato. Intanto però il tempo passa... «Noi non vogliamo né il riconoscimento giuridico né quello patrimoniale, sia chiaro. Chiediamo solo che le nostre mamme, che tanto tempo fa rinunciarono a noi, possano essere interpellate dal Tribunale e scegliere liberamente se vogliono conoscere noi, i loro figli. Se rifiutassero, scompariremmo di nuovo», spiega Anna Arecchia, 57 anni, docente di matematica al liceo Scientifico di Marcianise (Caserta), presidente del Comitato nazionale per il Diritto alla conoscenza delle Origini. Attualmente infatti la norma è granitica e piuttosto impietosa, non solo verso i nati da NN (dal latino nomen nescio, figli di nome ignoto), ma anche verso quelle madri e la loro scelta (o costrizione) irreversibile: la legge prevede che la donna, una volta deciso al parto di non riconoscere il figlio, non potrà mai più essere interpellata. E il figlio potrà accedere ai documenti solo al compimento dei 100 anni, «vale a dire mai – commenta Arecchia –. Siamo tutti nati negli anni ’40, ’50 o ’60, molti di noi sono già anziani, qualcuno è già morto senza esaudire il desiderio di tutta la vita. Ed è ovvio che molte delle nostre madri sono già in cielo».

Ma questo non cambia nulla dal punto di vista della ricerca delle origini, perché «se non sai chi era tua mamma, non saprai mai chi sei tu. Persino in punto di morte è importante scoprirlo», spiega la presidente. Che il volto di sua madre lo ha conosciuto solo sulla foto di una lapide, nel 2010, «ma in quel momento mi sono ricongiunta al mio passato e ho trovato la pace inseguita per 50 anni. Ne avevo 5 quando qualcuno (purtroppo non i miei genitori) mi ha detto che ero stata adottata, quindi per decenni mi sono tenuta dentro il segreto e la mia ricerca nascosta. Papà, cui ero legatissima, morì che avevo 16 anni, mamma quando ne avevo 28 e in punto di morte mi disse 'so che tu sai... vai a cercarla'. Le leggi però lo impediscono, così sono risalita alla mia madre naturale con piccoli indizi, diventi uno 007 pur di arrivarci. Subito dopo il parto era partita per il Canada, e lì ho trovato la sua tomba e tre miei fratelli. Mio padre invece ho fatto in tempo a conoscerlo, qui in Italia, e mi ha presentato i miei cinque fratelli cui sono legatissima». Il Comitato dei 400mila da anni lavora a un disegno di legge che fissi a 18 l’età in cui un figlio può richiedere al Tribunale di sondare la volontà della madre, ma ben due legislature non sono bastate: se alla Camera nel 2015 il testo è passato con soli 22 voti contrari (di Sel), in Senato è incomprensibilmente fermo alla Commissione Bilancio, addirittura mai messo in discussione. «Basterebbe una giornata, noi vogliamo che lo approvino prima della fine della legislatura», fremono al Comitato, preoccupati che il tempo rubi per sempre la possibilità di chiedere alla madre 'vuoi conoscermi o no?'.

Dalla loro parte ci sono sentenze importanti: nel 2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il passaggio della legge che, accanto al sacrosanto diritto di partorire in anonimato, prevede che la madre non possa mai più essere interpellata, nemmeno dopo decenni; e nel 2016 la Cassazione ha dato ragione a una donna cui era stato negato l’accesso al nome di sua madre in quanto già morta ('non possiamo rivelare l’identità di persona deceduta', era la motivazione poi sfatata dalla Suprema Corte): una sentenza fondamentale, visto che molti dei 400mila figli in attesa sono certamente già orfani.

Tutto risolto, dunque. Se non fosse che alcuni tra i 29 Tribunali dei minori italiani hanno subito applicato quanto deciso da Cor- te Costituzionale e Cassazione (ad esempio Firenze e Roma), ma altri – L’Aquila e Brescia in testa – tengono le istanze dei figli in un cassetto e non cercano le madri biologiche, rimanendo in attesa che la legge sia approvata. Non li smuove nemmeno il fatto che nel gennaio 2017, proprio per risolvere le disparità tra Tribunali, le Sezioni unite della Cassazione si siano pronunciate chiedendo a tutti di accogliere le istanze... «Ecco perché supplichiamo il Senato di approvare il testo», si appellano ora i 400mila, «non vogliamo forzare nessuna donna, le nostre mamme saranno sempre libere di dire no. Povere donne, spesso erano minorenni, cacciate di casa, non colte, a volte convinte che fossimo morti nel parto, magari nascevamo da un adulterio, che all’epoca era reato. Da allora potrebbero aver cambiato storia, situazione economica, tutto...».

Il 70% delle donne interpellate dai Tribunali più illuminati ha accettato di conoscere quel figlio mai scordato: loro non avrebbero potuto rintracciarlo (ovviamente la legge non concede alle madri di irrompere nella vita di figli ignari, magari convinti di esser nati dai genitori adottivi, viceversa la donna sa di aver avuto un figlio). La prima è stata la madre di Firenze, che ha cullato in un abbraccio la sua creatura adulta: «Ti ho aspettato tutta la vita, tutta la vita ho sperato che tornassi».

La legislazione. Tutelare la volontà della madre di restare segreta. Contattata, l'ultima decisione spetta sempre a lei

In Italia la madre può partorire in anonimato. Il Dpr 396 del 2000 definisce il diritto di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato: il nome della madre rimarrà per sempre segreto e nell’atto di nascita il figlio sarà dichiarato 'nato da donna che non consente di essere nominata'. Si tratta di una norma vitale, che ha già salvato migliaia di vite, perché proprio grazie alla segretezza del parto molte donne decidono di continuare la gravidanza 'indesiderata', limitando così l’aborto e i casi drammatici di abbandono nei cassonetti o di infanticidio. La norma, inoltre, dà alle madri la possibilità di partorire in sicurezza negli ospedali anziché di nascosto. Possono essere molte le cause di questa scelta sofferta e, si legge nel sito del ministero della Salute, 'al momento del parto serve garantire la massima riservatezza senza giudizi colpevolizzanti', assicurando, anche dopo la dimissione, che resti anonimo. Per il neonato si apre poi un procedimento di adottabilità, che gli garantisce l’amore di una famiglia. Il problema a questo punto è la conoscenza delle proprie origini: il figlio non riconosciuto alla nascita potrà mai accedere ai dati sulla madre naturale? Come conciliare il suo diritto fondamentale a un’identità personale, con quello della donna che ha chiesto di non essere nominata? La legge 149 del 2001 preclude all’adottato l’accesso alle informazioni, dunque il diritto a rimanere una mamma segreta prevale su ogni altra considerazione. Il Comitato che rappresenta i 400mila figli non riconosciuti propone però che dai 18 anni di età si possa chiedere 'l’interpello della madre', fermo restando che a interpellarla sarebbero gli uffici competenti in assoluta segretezza, e che la decisione spetterebbe a lei soltanto. A loro supporto nel 2013 la Corte Costituzionale ha definito incostituzionale l’irreversibilità della norma: la madre può essere interpellata garantendo la sua 'necessaria riservatezza'. E avrà sempre l’ultima parola.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: