sabato 3 aprile 2021
La presunta violazione riguarderebbe anche gli spostamenti di alcuni cronisti. Un abuso grave, secondo il presidente dell’Odg che si appella a Mattarella. E la ministra ci vuol vedere chiaro
La ministra Cartabia

La ministra Cartabia - Ansa

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La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha disposto accertamenti sull’inchiesta di Trapani nata per indagare su presunte irregolarità nella gestione dei soccorsi in mare da parte di alcune Ong, ma che fra l’altro si è svolta ascoltando le conversazioni di numerosi giornalisti con le proprie fonti. Intercettazioni ritenute irrilevanti ai fini dell’inchiesta ma, contrariamente alla procedura, anziché venire distrutte sono state allegate agli atti.

«Non solo conversazioni telefoniche intercettate, a loro insaputa, tra i giornalisti e le loro fonti confidenziali, ma – spiega l’agenzia AdnKronos che ha avuto accesso agli atti – anche l’indicazione dei loro movimenti. Sono migliaia le pagine della polizia giudiziaria, tra Sco (Servizio centrale operativo, ndr), Squadra mobile di Trapani e Capitaneria di Porto, nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Trapani che ha chiuso le indagini iniziate tra il 2016 e il 2017».

L’attuale procuratore facente funzioni, Maurizio Agnello, è subentrato da un anno. «Non intendo assolutamente disconoscere questa vicenda – dice –, ma voglio sottolineare soltanto che ho preso servizio alla Procura di Trapani nel febbraio 2019, quando era già in corso l’incidente probatorio del procedimento, per cui io e le colleghe assegnatarie abbiamo ereditato questo fascicolo». Ad esempio «quando venne intercettata la giornalista Nancy Porsia, nel 2017, il pm di allora Andrea Tarondo, chiese al gip del Tribunale di Trapani di autorizzare le conversazioni. Che – precisa ancora Agnello – le concesse. Da lì la decisione di sentire per alcuni mesi la giornalista d’inchiesta». Ma il procuratore è d’accordo su quanto fatto dal pm quando lui ancora non era a capo dei pm trapanesi? «Su questo – ha reagito Maurizio Agnello – preferisco non rispondere».

L’Ordine nazionale dei giornalisti fa appello a Sergio Mattarella. «Siamo di fronte allo sfregio del segreto professionale – afferma il presidente nazionale Carlo Verna – la vicenda relativa all’inchiesta della Procura di Trapani sulle Ong, leggendo le cronache appare di estrema gravità e merita una mobilitazione non solo della categoria che l’Ordine dei giornalisti promuoverà». Perciò «ci appelleremo al Presidente della Repubblica, che oltre ad essere il supremo garante della Costituzione è anche il numero uno del Csm, e alla Ministra della Giustizia. Per fortuna nostra e delle istituzioni si chiamano Sergio Mattarella e Marta Cartabia». Perché i fatti di Trapani «riguardano – conclude Verna – la qualità della democrazia».

Numerose sono le iniziative parlamentari. Una ventina di deputati del Pd hanno presentato al Ministro della Giustizia «un’interrogazione per chiedere un’ispezione alla procura di Trapani per verificare lo scrupoloso rispetto di importanti principi costituzionali». Lo rende noto il parlamentare Dem Stefano Ceccanti, che ha firmato la richiesta assieme con numerosi altri, tra cui Cantone, Boldrini, Fiano, Orfini e Siani. Al Senato tre parlamentari–giornalisti, Sandro Ruotolo (Misto), Tommaso Cerno (Pd) e Primo Di Nicola (M5s) hanno depositato analoga interrogazione in cui parlano «di grave precedente per tutti i giornalisti».

Le rivelazioni di questi giorni, diffuse dal quotidiano “Domani”, stanno provocando numerose reazioni anche internazionali. La Federazione europea dei giornalisti (Efj) ha annunciato «la richiesta di spiegazioni immediate alla Procura di Trapani su questa massiccia violazione della riservatezza delle fonti giornalistiche. Il caso è stato segnalato alla Piattaforma del Consiglio d'Europa per la protezione del giornalismo».

In una corrispondenza il britannico The Guardian ha raccolto le voci di diversi esperti secondo i quali «si tratta di uno dei più gravi attacchi alla stampa nella storia italiana». Nello stesso periodo, a Palermo, veniva intecettato proprio il corrispondente del Guardian, Lorenzo Tondo, per la sua inchiesta sul potente trafficante di uomoni Medhanie Yehdego Mered. Il Washington Post cita anche «le chiamate dal quotidiano cattolico italiano Avvenire che chiedeva a una fonte come ottenere un video che mostrava la violenza contro i migranti in Libia».

Nel corso di una tavola rotonda su Radio Radicale, l’ex procuratore Armando Spataro, che in passato aveva scoperto una rete illegale che coinvolgeva intelligence e giornalisti, non ha nascosto le sue perplessità: «Anche se tutte correttamente autorizzate, se giudicate irrilevanti, le intercettazioni non devono diventare pubbliche perché verrebbe meno l’obbligo di segretezza. A decidere non è la polizia giudiziaria ma il pm». E sembra proprio questo uno dei nodi che gli accertamenti ordinati dal Guardasigilli Marta Cartabia dovrà sciogliere.

La ricostruzione / Dal Viminale alle Procure: la "nota" che avviò l'indagine

L’ordine di indagare sulle Ong partì dal Viminale. Inchieste nelle quali sono state ascoltate le conversazioni di numerosi giornalisti. Lo scrive il quotidiano Domani proseguendo la controinchiesta che ha permesso di scoprire le anomalie delle indagini partite in Sicilia.

Il 12 dicembre del 2016, all’esordio del governo Gentiloni, Angelino Alfano lascia il Ministero dell’Interno passando il testimone a Marco Minniti. Lo stesso giorno parte una lunga informativa: «L’oggetto è “attività di analisi dei flussi migratori in Italia” ed è indirizzata allo Sco, ovvero all’ufficio di polizia giudiziaria che gestirà l’intera inchiesta di Trapani», scrive Andrea Palladino, che parla di «libro mastro delle future attività investigative».

Dopo avere indicato le Ong come «fattore di attrazione», viene precisato che è stata avviata «un’attività di raccolta informazioni circa le modalità di salvataggio dei migranti in mare, svolte dalle navi di proprietà delle Ong». Nell’informativa vengono segnalati quattro casi di sconfinamento nelle acque libiche, da parte di alcune organizzazioni umanitarie: Moas e Medici senza frontiere.
Il 3 maggio 2017 il comitato Shengen del Parlamento convoca l’ammiraglio Nicola Carlone, che all’epoca coordinava le attività di salvataggio in mare della Guardia costiera. Quando i parlamentari gli domandano degli sconfinamenti delle Ong, l’ammiraglio risponde fornendo dati precisi: nel 2016 vi erano stati 16 sconfinamenti, ma «tutti autorizzati» dalla centrale di coordinamento dei soccorsi.

Pochi giorni dopo l’audizione arriva in Italia, in gran segreto, una delegazione libica tra i cui componenti vi era Abddurhaman al–Milad, il comandante “Bija” attualmente agli arresti, già segnalato anche dal ministero della Difesa italiano come trafficante di uomini e di petrolio. Intanto a Trapani scattano le intercettazioni che non risparmiano i giornalisti. Innanzitutto Nancy Porsia, a lungo monitorata anche negli spostamenti, e poi Sergio Scandura (Radio Radicale), Francesca Mannocchi (L’Espresso – Propaganda); Fausto Biloslavo (Il Giornale), Claudia Di Pasquale (Report–Rai3) e Nello Scavo (Avvenire) e Antonio Massari (Il Fatto).

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«Quell’informativa del Ministero dell’Interno – sostiene il Domani – ha fatto da base alle successive indagini della polizia, che a loro volta hanno alimentato le inchieste delle procure». Anche per questa ragione Walter Verini (Pd) presidente del Comitato parlamentare per la tutela dei giornalisti minacciati, annuncia iniziative sulla «vicenda dei giornalisti d’inchiesta intercettati per mesi, con violazione della privacy, del segreto professionale e della tutela delle fonti».

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