Vita

Dopo la sentenza della Corte Suprema. Aborto in Usa, ora aiuti alle donne

Antonella Mariani e Angela Napoletano giovedì 30 giugno 2022

Manifestazione pro life davanti alla Corte Suprema Usa

Il mondo pro life statunitense – una galassia da più di 700 associazioni – ha esultato per la sentenza della Corte Suprema. La negazione che l’aborto sia un diritto a livello federale non significa, tuttavia, che la partita è chiusa. Una delle sfide che si profilano all’orizzonte riguarda la messa a punto di leggi locali a sostegno della maternità e della prima infanzia. È su questo terreno che verrà misurata la portata pratica (non ideologica) dell’attivismo aperto alla vita.

Uno dei nodi più complessi al riguardo è quello economico. Il Texas, dove l’interruzione della gravidanza è bandita oltre le sei settimane, ha iniettato di recente 100 milioni di dollari in un programma – «Alternative all’aborto » – utilizzato sin dal 2006 per finanziare i centri di aiuto alla vita. Meno imponente ma guardata con interesse da altri Stati è la manovra messa a punto in Mississippi, altro Stato che ha fatto scelte pro life, che con la legge «Children’s Promise» consente alle imprese di ricevere un credito d’imposta fino al 50% sui contributi versati alle associazioni che aiutano le donne che valutano l’aborto per motivi di indigenza.

Associazioni come «Pro Life America» ritengono che le iniziative di tipo fiscale debbano essere supportate da provvedimenti più ampi in materia: la semplificazione delle adozioni, l’assistenza ai bambini disabili e l’inserimento nel mondo del lavoro delle madri a basso reddito. Il senatore della Florida Marco Rubio nei giorni scorsi ha presentato il testo di un’ampia legge chiamata «Providing for life».

Che l’attivismo per la vita debba trovare forme di sostegno per le donne è anche la conclusione di Abby Johnson, la 'pentita' degli aborti che, dopo aver abbandonato la carriera in una clinica di Planned Parenthood, nel 2011 ha scritto un libro di denuncia sul business delle interruzioni di gravidanza, da cui nel 2019 è stato tratto il film «Unplanned », presentato anche in Italia.

La decisione della Corte Suprema sta creando nel Paese divisioni tra i cittadini e pericolose rivolte. Pensa che il suo Paese possa superare questa situazione?

La parte favorevole all’aborto sta affrontando la questione da una posizione di odio e violenza, quindi non ci sorprende che ci siano rivolte, vandalismi e violenze. Pensate a ciò per cui sono così arrabbiati: la possibilità che non si possano uccidere i bambini nel grembo materno. Questo è il nocciolo della questione ed è il male. Il movimento pro-vita si avvicina all’aborto con amore e compassione. Siamo là fuori ad aiutare le donne in crisi per gravidanze non volute e a camminare con loro, cosa che dobbiamo continuare a fare e a fare di più. Non so se il nostro Paese possa superare questa divisione, ma so che con l’amore e l’affidamento alla misericordia di Dio, tutto è possibile.

Pensa che la decisione della Corte Suprema possa incentivare una nuova cultura della vita o, al contrario, approfondire il fossato tra le due posizioni?

Spero che incentivi una cultura della vita, coinvolgendo più pro life possibile nell’aiuto alle donne con i loro bisogni tangibili ed emotivi durante una gravidanza non pianificata. Non possiamo stare fermi e non fare nulla: dobbiamo aiutare queste donne e mostrare con i fatti i nostri valori e le nostre convinzioni.

Il suo libro e il suo film hanno mostrato al mondo intero come l’aborto negli Stati Uniti sia anche una catena di montaggio e vero e proprio business. Pensa che gli attivisti pro-aborto ne siano consapevoli?

Credo che la maggior parte delle persone che lavorano nelle cliniche capiscano quanto sia lucrativo il business dell’aborto. Negli Usa molte cliniche abortive stanno chiudendo, ma Planned Parenthood continua a dire che solo il 3% del loro business è rappresentato dall’aborto. Allora perché le loro cliniche stanno chiudendo in tutto il Paese? Perché il loro intero modello di business si basa sull’aborto e senza di esso non fanno soldi.

Perché negli Stati Uniti si pensa che l’aborto sia un 'diritto umano', e che una donna abbia il diritto di decidere se diventare madre, senza considerare il diritto alla vita del bambino?

La scienza ci dice che il bambino che cresce all’interno della madre è un essere umano completamente separato e unico. Non è il corpo di lei. La questione dell’aborto è in effetti una questione di diritti umani – il diritto alla vita dell’essere umano in via di sviluppo all’interno della madre. Questo non toglie l’autonomia corporea perché il corpo all’interno della donna non è il corpo di quest’ultima. Dobbiamo sostenere sia la donna che il suo bambino. Non si tratta di un’equazione o l’una o l’altra. Dobbiamo essere presenti per la donna in tutti i modi in cui ha bisogno e dimostrare che rispettiamo e amiamo sia lei che il suo bambino.