Rubriche

Scalare ad alta velocità (io sto con Messner)

Mauro Berruto mercoledì 30 ottobre 2019
Ci sono imprese che restano nella storia e ci sono esploratori che grazie alle loro imprese hanno aperto delle strade. Ci sono strade che, grazie agli esploratori che le hanno aperte, sono state capaci di cambiare un paradigma. L'alpinismo, per esempio, grazie alla sua dimensione di conquista verticale, ha sempre rappresentato fascino, mistero, in qualche modo esplorazione introspettiva. Le grandi conquiste che l'uomo ha raggiunto per linee orizzontali hanno molto spesso avuto a che fare con commerci o nuovi territori da colonizzare e dunque, si sono fondate su un fattore decisivo, quello della velocità, mentre le conquiste verticali hanno avuto a che fare con la lentezza, con il gesto misurato, rallentato inevitabilmente dalla rarefazione dell'ossigeno, dalle pareti di roccia, dalle nevi perenni.
Ieri è arrivata una notizia: un alpinista nepalese, il trentaseienne Nirmal Purja, ha raggiunto la cima del Monte Shishapangma, 8.027 metri e ha, di conseguenza, annunciato l'impresa di aver scalato tutti i quattordici ottomila del pianeta in soli sei mesi e sei giorni. Giusto per dare un parametro, il precedente record apparteneva al sudcoreano Kim Chang-ho: ci aveva messo sette anni. Il primo alpinista capace di scalare tutte le vette più alte del pianeta, il nostro Reinhold Messner, aveva impiegato sedici anni e tre mesi per raggiungere quello stesso obiettivo. Insomma, senza entrare nel merito della prestazione, quella del nepalese Purja è un'impresa ai limiti dell'umano, ritenuta dai più impossibile, anzi, una specie di condanna a morte già scritta per chi avesse voluto provarci. Se usciamo dal giudizio e leggiamo questa impresa nel contesto dei nostri tempi potremmo riflettere su come l'alpinismo e quella sua dimensione di scoperta verticale (salire verso il cielo per scendere nel proprio profondo) che ha rappresentato a lungo una sorta di sfida spirituale, abbiano a che fare oggi con un contesto che è certamente cambiato. La dimensione spaziale ha ceduto il passo a quella temporale, il parametro è diventato la rapidità.
Non è tutto coerente? Non è il segno dei tempi che viviamo dove la velocità (di trasmissione delle informazioni, per esempio) è diventata perfino più importante del contenuto? Quel muoversi in modo così veloce, non ci fa perdere di vista un bel po' di dettagli? Una splendida poesia, scritta nel 1911 da Kostantinos Kavafis e che si intitola "Itaca" richiama, in maniera struggente, all'importanza, alla bellezza, alla necessaria lunghezza del viaggio. Il viaggio di ritorno di Odisseo verso la sua Patria diventa una bellissima metafora: «Devi augurarti che la strada sia lunga, che i mattini d'estate siano tanti quando nei porti – e con che gioia – toccherai terra tu, per la prima volta».
I nostri viaggi sono sempre più brevi, l'alta velocità non è solo la caratteristica di un treno. È uno stato mentale, è ciò che desideriamo. Prima arriviamo, prima facciamo, prima ahimè, dimentichiamo. E se Reinhold Messner è ancora capace, oggi, di raccontarci la sua visione di futuro, chissà cosa resterà fra qualche anno di Nirmal Purja, oltre a una traccia digitale: quella di aver annunciato, guarda un po', il risultato della sua impresa pochi minuti dopo la conquista dell'ultima vetta, usando un telefono satellitare e i suoi account social.