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La storia di Joe e Max (sport contro il razzismo)

Mauro Berruto mercoledì 12 aprile 2023
Il 12 aprile del 1981 moriva Joseph Louis Barrow che tutto il mondo conosceva come Joe Louis, The People’s Champ, il “campione del popolo”. Joe era stato un leggendario pugile, capace di rappresentare il riscatto per milioni di afroamericani e di passare alla storia per due combattimenti leggendari, il primo perso nel 1936 e il secondo vinto nel 1938, contro Max Schmeling, il campione tedesco su cui Adolph Hitler puntava per raccontare all’America e al mondo, la supremazia della razza ariana. Il primo combattimento avvenne allo Yankee Stadium di New York, il 19 giugno 1936 ovvero sei settimane prima dell’inizio dei Giochi Olimpici di Berlino e delle imprese di Jesse Owens davanti agli occhi increduli del Führer, insomma il momento apicale in cui lo sport veniva considerato dal nazismo strumento di propaganda. Nonostante lo Yankee Stadium fosse esaurito in ogni ordine di posto da tifosi la cui certezza era quella di essersi assicurati un posto per vedere il trionfo di Joe, le cose andarono nel modo peggiore. Schmeling sorprese il campione di casa, lo mise in gravissima difficoltà rendendolo quasi cieco per i colpi al viso e lo mise ko, un’inedito assoluto per Joe, al 12° round. Tra gli spettatori che assistettero alla sconfitta di Louis c’era anche l'attivista per i diritti civili e scrittore Langston Hughes che descrisse la reazione della nazione: «Ho camminato lungo la Settima Avenue e ho visto uomini adulti piangere come bambini e donne sedute sui marciapiedi con la testa tra le mani. In tutta la nazione quella notte, quando giunse la notizia che Joe era stato messo fuori combattimento, la gente piangeva». Passò quella notte e poi altri due anni. In mezzo, come ricordato, i Giochi di Berlino, Jesse Owens, l’Anschluss e la radicalizzazione delle politiche interne ed estere di Adolph Hitler. Il 22 giugno 1938 tutto era pronto per la grande rivincita. Qualche settimana prima ci pensò il presidente Franklin Delano Roosevelt ad aggiungere motivazione a quella sfida, invitando Joe Louis alla Casa Bianca per dirgli: «Joe, abbiamo bisogno di muscoli come i tuoi per sconfiggere la Germania». Il teatro dell’incontro era lo stesso, lo Yankee Stadium, il numero di persone presenti anche: 70.000, ovvero tutti i posti disponibili. Bastarono 2 minuti e 41 secondi a Joe per far contare tre volte il tedesco, sportivamente aggredito da un tornado di colpi: 31 pugni a segno per Joe, 2 per Schmeling. L’arbitro sospese l’incontro prima della fine del primo round, ma questo non fu sufficiente a evitare un ricovero in ospedale per Max che spiegò, nella sua biografia, come quella notte fosse profondamente diversa da quella di due anni prima: «Mentre passavamo attraverso Harlem in ambulanza verso l’ospedale, c'erano rumorose folle danzanti. Le band musicali avevano lasciato i nightclub e i bar e stavano suonando e ballando sui marciapiedi e sulle strade. L'intera area era piena di festeggiamenti, rumori e sassofoni, continuamente punteggiati dalla chiamata del nome di Joe Louis». Joe Louis e Max Schmeling (peraltro mai troppo prestatosi ad essere strumento ideologico di Hitler) diventarono amici fuori dal ring. La loro amicizia durò fino alla morte di Louis, il 12 aprile 1981 e la loro storia venne raccontata da un bel film, Ring of passion girato nel 1978. Quando si parla, come in queste settimane, così tanto di episodi di razzismo o di antisemitismo da parte delle tifoserie calcistiche (purtroppo quasi tutte, in qualche forma, ne sono coinvolte) continuo a credere che più che multe o chiusure di curve, lo strumento più efficace resti raccontare la storia dello sport. Incominciando nelle scuole. © riproduzione riservata