Rubriche

I pranzi per i poveri nelle chiese: la discussione e la sua parodia

Guido Mocellin mercoledì 2 gennaio 2019

Per l'ultimo intervento dell'anno il blog antimoderno "Chiesa e postconcilio" – con un post redazionale – e il blog d'autore collettivo "Vino Nuovo" – con la firma di Fabio Colagrande – hanno scelto lo stesso argomento: la prassi, in occasioni particolari, di ospitare nelle aule liturgiche pranzi o cene offerti dalle istituzioni ecclesiali a persone in situazione di bisogno; ai poveri, per dirla con il Vangelo.

Sarà stata sicuramente una coincidenza, ma merita di essere sottolineata. In effetti fotografa due modi assai diversi di contribuire alla costruzione dell'opinione pubblica nella Chiesa. Nel primo caso (tinyurl.com/y9fvqk4o) l'oggetto è il fatto in sé. Per dire tutta la propria contrarietà a esso si parte da una dotta citazione di storia antica, utile a nutrire la vis polemica contro ciò che viene classificato come un aspetto del «modernismo». Il post sfocia in una vera e propria invettiva, rivolta peraltro non contro l'esercizio della carità in sé, bensì contro chi non si preoccuperebbe più di tenere il «sacro» separato dal «profano».

Nel secondo caso (tinyurl.com/y7264jrx) l'oggetto non è il fatto, che fa da pretesto, ma le infinite discussioni che, nella babele comunicativa contemporanea, esso è capace di alimentare. La parodia, impreziosita dall'invenzione di nomi propri tutti «gastronomici» e/o «ittici», ritrae, assieme al soggetto (in questo caso la diocesi di Salmone) organizzatore del «cenone dei poveri», tanto una voce assimilabile all'area anti moderna, quanto «altri fronti», dalla galassia laicista e agnostica a nicchie «diversamente credenti». Essa non sarà piaciuta, immagino, ai radicali di entrambi i poli: non solo quello contrario a questa prassi, del quale ho riportato una voce, ma anche quello favorevole, al quale non si risparmia una piccola quota di presa in giro. Ma il fine mi pare altro: suggerire un po' di continenza verbale a chi, specie sui social network, specie se riveste un minimo ruolo pubblico, prende la parola, più o meno strumentalmente, su tutto.